foto: Schloss Vogelod, 1921
Weimar-Rococò: le affiches di Josef Fenneker
Josef Fenneker fu al cinema ciò che Toulouse-Lautrec fu, ai suoi tempi, al teatro di varietà. Laddove Lautrec aveva perfezionato e fatto arte ciò che prima era semplice oggetto di rèclame, Fenneker seppe stabilire lo stesso rapporto con il cinema, e finì per prendere l’arte perfezionata da Lautrec e adattarla al gusto di un’epoca, diventando non un grafico pubblicitario ma il grafico pubblicitario per eccellenza della repubblica di Weimar. Anzi, di più: i suoi manifesti rappresentano oggi la Berlino degli anni Venti più di quanto la Berlino degli anni Venti rappresentasse Fenneker, il quale rimane ancora oggi un artista piuttosto oscuro e sconosciuto.
Parrebbe strano, oggi, che un film venga reclamizzato da poster diversi tra loro: al contrario, la moderna logica dei pubblicitari stabilisce che ad un prodotto debba corrispondere una campagna reclamizzante martellante lo stesso chiodo. Una saponetta che sceglie come mascotte un bambino strillante userà sempre e solo il bambino strillante come logo su affiches, pubblicità filmata, e perfino radiofonica (con uno strillo prodotto dal famoso bambino strillante). Oggi, se vogliamo far comprare al pubblico questa benedetta saponetta, non ci azzarderemmo mai a produrre dieci affiches diverse tra loro, una con una donna nuda, un’altra con solo la foto della saponetta, un’altra con una mano, un’altra ancora con un gatto, o un aereo, o una scarpa, o una bagno turco. L’oggetto della pubblicità dev’essere riconoscibile grazie ad una rèclame unica e dallo stile coerente. Come la saponetta.
Non così negli anni Venti (con l’eccezione del famoso borotalco Cadum, innovatore della tecnica pubblicitaria): un prodotto era riconoscibile dal nome, marchio, non dallo stile della rèclame. Insomma, almeno così si credeva. In ogni caso, il cinema Marmorhaus, nella persona del suo direttore Siegbert Goldschmidt aveva assunto sul finire degli anni Dieci un illustratore pubblicitario dallo stile riconoscibilissimo, Josef Fenneker, di modo da pubblicizzare film e sala cinematografica allo stesso tempo. Il signor Goldschmitdt doveva essere molto fiero del suo cinema: il nome del direttore appare frequentemente sui poster, mentre raramente appaiono quelli degli attori o del regista. Una scelta mondana più che commerciale.
Ehrenschuld, 1921
Entgleist, 1921
Der Strafling von Cayenne, 1921
Eine Welt Ohne Liebe, 1921
Josef Fenneker
Fenneker, nato il 6 dicembre 1895 a Bocholt (nella Westfalia) in una famiglia di droghieri, aveva probabilmente desiderato seguire le orme dello zio, Anton Marx, pittore religioso e architetto, e aveva condotto gli studi di arti applicate a Munster, Dusseldorf e Monaco; a Berlino era poi entrato nella scuola di Arti applicate del Museo d’Arte della città, dov’era divenuto il pupillo di Emil Orlik. Un lungo percorso di studi per un artista del quale non si conoscono opere maggiori se non poster cinematografici e illustrazioni per Simplizissimus, Jugend, Berliner Tageblatt (che furono comunque le massime riviste tedesche illustrate dell’epoca) e varie riviste di moda, oltre ché all’allora celebre riallestimento del Luna Park di Berlino (considerato una “vergogna” dai nazisti, venne demolito nel 1935 per far spazio allo stadio olimpico).
Verso il 1918 aveva preso a disegnare poster per i più grandi teatri e cinema di Berlino, come il Union-Theater, il Kammerlichtspiele, la Mozartsaal, e il Marmorhaus (un edificio Art déco simile ad un tempio pagano interamente foderato di marmo chiaro, in pieno centro città), il cinema più rinomato e chic della capitale dove, nel 1919 v’era stata la prima de Il gabinetto del dottor Caligari (il manifesto non fu tuttavia disegnato da Fenneker), ch’era diventato il suo principale cliente. Poco importava all’epoca che il film fosse stato distribuito con la sua réclame annessa: il Marmorhaus faceva appositamente ridisegnare l’affiche da Fenneker, specie se si trattava di produzioni tedesche. E per ragioni ancora una volta mondane e stilistiche, i produttori tedeschi, quasi tutti berlinesi, non potevano che rallegrarsi di un poster ridisegnato da Fenneker. Non dimentichiamo che Berlino, all’epoca, produceva tanti film quanto Hollywood e Parigi.
Fenneker riusciva a fondere, con pochi tratti, tutti i gusti e gli stili artistici allora di moda a Berlino: espressionismo, cubismo, e quella strana fascinazione per le arti folkloristiche oceaniche e africane che coinvolgeva così tanti collezionisti. I poster di Fenneker sono lugubri, spettrali, inquietanti: campiture nerissime dalle quali emergono figure umane sensuali e malaticce, coi visi degli attori in voga come Conrad Veidt, Asta Nielsen, o la temibile Anita Berber. La sua tecnica preferita era la litografia; i manifesti, di grandi dimensioni (quasi tutti di 142×95 centimetri) vennero definiti più volte dagli specialisti come “tecnicamente perfetti”.
Baccarat, 1920
Windsor’s Apachen Tanze, 1921
Der Januskopf, 1920
Blondes Gift, 1919
Berlino, capitale dei vizi
Berlino sotto la repubblica di Weimar aveva guadagnato in libertà ma anche in decadenza: famosa per essere parte del “triangolo dei vizi” (con Parigi e Shanghai), attirava folle di esteti mondani cosmopoliti venuti per consumarsi nei piaceri dell’alcool, della droga (cocaina e eroina soprattutto), della prostituzione, del gioco d’azzardo (illegale ma tollerato). Il governo tentava di porre dei limiti al vizio dilagante in diverse maniere, non ultima quella di sensibilizzare i tedeschi, e in ispecie i berlinesi, attraverso film “educativi” prodotti appositamente per scandalizzare o dissuadere pervertiti e mafiosi. Fenneker disegnava quindi affiches per film come Cocaina, Prostituzione, Totentanz (tutti del 1919) e via dicendo; nonostante lo scopo dei film fosse quello di scoraggiare le masse, la messa in scena operata dall’arista era più che allettante, in quanto eseguita con gusto e una particolarissima sensibilità alla moda.
La perversione dei berlinesi era tale che le tematiche trattate, e così variamente esposte, erano venute quasi “cool”. Non era raro vedere film che parlassero di amori al limite della legalità e pedofilia (La diciassettenne, 1928, M il mostro di Dusseldorf, 1931), di omosessualità morbosa (Diverso dagli altri, 1919), di gioco d’azzardo e complotti mafiosi (Il dottor Mabuse, 1922), di serial killer (Le mani dell’altro, 1924) alla stessa maniera in cui, alla fine dell’Ottocento, i romanzieri decadenti scrivevano di argomenti “immorali” con delizia, salvo riservarsi un finale con punizione urbi et orbi per il bene morale dei lettori.
Fenneker era il disegnatore ideale per questo genere di pubblico: intendiamoci, i suoi manifesti avrebbero terrorizzato i tedeschi non-berlinesi o anche solo quelli dei quartieri operai della città. Il suo stile morboso andava di pari passo col gusto della borghesia decadente e dei suoi palazzi in centro città. Veniva talmente apprezzato che un critico definì il suo stile “Tauentzien Rococo”, dal nome della Tauentzienstrasse, un viale chic nella zona di Kurfurstendamm (là dove si trovava il Marmorhaus).
Fenneker rendeva arte le ossessioni dei berlinesi, e i suoi manifesti finivano per quelle stesse strade lungo le quali le madri vendevano le loro figlie, passeggiavano mafiosi e assassini, stupratori di bambini, e una folla di drogati e depressi prossimi al suicidio; o almeno così piaceva pensare ai ricchi berlinesi stessi, affamati di sensazioni forti e di esperienze nuove, con un senso della disperazione gioiosa tipica solo di quegli anni e di quella città, un correre incontro alla fine, volentieri tragica e violenta, come forma d’arte (si veda ad esempio la vita esemplare della ballerina e attrice Anita Berber, più volte immortalata da Fenneker ma anche da artisti più noti, come Dix e Grosz).
Non per ultima, Fenneker soddisfaceva quell’ossessione tutta berlinese per il modernismo – una parola che non significava molto se non un interesse nevrotico (collezionistico e verboso) per tutto ciò che era arte contemporanea: in pittura, in scultura, in architettura.
Schloss Vogelod 1921 Alkohol, 1919
Nerven, 1919
Opfer, 1920
L’arte di Fenneker completava il quadro berlinese con maestria e accarezzava la borghesia nel senso del pelo. Questa strana, ricca, borghesia tedesca così piena di vizi mortali e, allo stesso tempo, così felice di vederseli rappresentare artisticamente in un film o in un manifesto dalla grafica mostruosa e violenta in piena Kurfurstendamm: un modo per rassicurarsi? O una maniera ipocrita di accusare il prossimo con la messa in scena drammatica e sublime allo stesso tempo del vizio recondito? Forse entrambe le cose. Bellezza e orrore sono due concetti che a noi italiani paiono opposti ma che sono proprii dei tedeschi fin dai tempi di Kant.
La bellezza delle grafiche di Fenneker e, soprattutto, la loro efficacia, superava infine quella dell’oggetto di cui erano pubblicità. Perfino il più triviale dei melodrammi o delle commedie romantiche venivano rialzati a capolavori grazie alla finezza grafica di Fenneker – così molte pellicole che, forse giustamente, non passarono mai negli annali della storia del cinema, divennero titoli immortalizzati della storia dell’arte: un poster di Fenneker serve, in effetti, come un monumento.
Die Nacht der Konigin Jsabeau, 1920
Sohne der Nacht, 1921
Carmen, 1918
Miss Beryll, 1921
Fine di un’epoca
A partire dal 1933 la qualità dei poster di Fenneker subì un netto calo di qualità. Le vicissitudini della vita privata dell’artista essendo sconosciute, possiamo solo adeguarci all’idea che non riuscì ad adattarsi perfettamente al cambio del gusto dominante. I nazisti ripulirono i cinema e i teatri (e le strade, e le istituzioni) dalla “decadenza” alla moda e promossero uno stile più pulito e statuario. Fenneker vi si adattò con circostanza ma, in tutta evidenza, senza entusiasmo: rimaneva un grafico e un caricaturista, alla Lautrec, e la sua maniera mal si adattava al realismo imperante.
Fortunatamente per lui si era riuscito ad immettere nel mondo del teatro fin dal 1928, diventando il direttore artistico della revue “Belle et chic” di Hermann Haller all’Admiralspalast. L’esperienza dovette piacere, dacché a partire dal 1932 troviamo il nome di Fenneker quale Ausstattungschef (gli americani direbbero CDO, ovvero Chief desinger officer, insomma un’altra maniera di chiamare il direttore artistico) della Staatlichen Schauspielhauses e del Teatro della Giovinezza Prussiana (1932), poi del teatro dell’Opera (1935-38), del teatro Schiller (1938-1944), dell’Opera di Stato (1945-1954), dell’Opera Comica (1948-1950), e infine del teatro Civico di Frankfurt am Main (1952-1955).
Purtroppo non siamo a conoscenza dei suoi rapporti con il regime nazista, ma possiamo ipotizzare che, vista la sua lunga carriera prima e dopo il governo di Hitler, Fenneker mantenne un profilo basso scevro da moti di ribellione o di collaborazionismo troppo evidente. Nel corso del suo lungo periodo di attività dietro i palcoscenici come scenografo e costumista, Fenneker partecipò a molte produzioni che fecero la storia del teatro tedesco. Lavorò con Leopold Jessner, Ernst Legal, Heinrich George, Jurgen Fehling, Walter Felsenstein, Karl Heinz Stroux e Lothar Muthel. Lavorò come direttore artistico anche per produzioni a Vienna, Stoccolma, alla Scala di Milano, a Amburgo e a Monaco.
Morì il 9 gennaio del 1956 a Frankfurt am Main di un arresto cardiaco: aveva sessantatrè anni. I necrologi regionali lo descrissero come il designer più importante della Germania degli anni Venti e Trenta. La cinemateca di Berlino ne conserva più di 300 opere, tra disegni, bozzetti, e poster. Ma una grossa parte del suo lavoro è esposta al museo di Bocholt, sua città natale, che nel 1960 acquistò alla vedova di Fenneker circa 6700 opere, oggi parte della collezione permanente (stadtmuseum-bocholt.de).
Un artista che meriterebbe di essere riscoperto, dacché la sua ultima mostra venne organizzata dal Goethe Institut di Monaco, nel 1986. Ahimé, fin troppo tempo fa.
Nemesis, 1921
Der Gelbe Tod
Die Geliebte des Grafen Varenne, 1921
1922
1921
Krì Krì, 1921
1922
Luna Palais, 1921 (detail)
Luna Palais, 1921
1921
Der Tanz um Liebe und Gluck, 1921
Der Brennende Acker, 1922
Die Bar Dame, 1922
Sinflud, 1922
Die Prostitution, 1919
Die Kreutzer Sonate, 1921
Luna Park, 1923
Toten Danz, 1919
Paprika, Za la Mort, 1924