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Dove: Via Valguarnera, 90011 Bagheria PA
Mail: panariafilm@gmail.com
Sito: villavalguarnera.com
Instagram: @villa_valguarnera
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“La Villa Valguarnera era la reggia fra le case principesche della verde vallata.”
Giuseppe Pitrè (1841-1916)
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Mavult principem esse quam videri
ciò che conta non è sembrare un principe, ma comportarsi come tale
Motto della famiglia Valguarnera
Se è vero che la bellezza salverà il mondo, bisogna soprattutto salvare la bellezza. Le vicende di Villa Valguarnera si snodano nella storia sin dai primi anni del ‘700 e sapendo quante volte ha rischiato di essere cancellata, non possiamo che vederla come un miracolo giunto fino a noi.
La villa si trova a Bagheria, luogo di villeggiatura per i nobili palermitani del XVIII secolo, ma che per i paradossi della storia divenne, negli anni ’70 – ’80, il centro più importante della mafia. Da tempio della conoscenza e del sapere illuminato questa villa ha rischiato molte volte di diventare il centro più oscuro dell’inferno e di soccombere. La sua è una storia di salvazione, simbolo della lotta del bene contro il male, della luce contro l’oscurità, del sapere contro l’ignoranza, del logos contro il caos. Un male cavilloso, che ha maschere molto rassicuranti, che spesso agisce dalla parte della giustizia e fonda la sua forza nel logoramento.
Unica rimasta del meraviglioso sistema di ville che era Bagheria nel Settecento, quasi una città ideale, deve la sua sopravvivenza alla forza e al coraggio soprattutto di alcune donne, che hanno combattuto strenuamente per difenderla, facendo di questa lotta una ragione di vita.
Un atto d’amore: Annamaria
La fondazione della villa nasce da un atto d’amore: la Principessa di Gravina Annamaria sposa Giuseppe Valguarnera principe di Valguarnera e poi, rimasta vedova, risposa in seconde nozze Giuseppe del Bosco Sandoval Principe di Cattolica. È per lui che decide di costruirla: “mio sposo diletto per amor tuo ho spianato questa montagna”, così come leggiamo nell’inscrizione appena entrati.
Nel 1712 Annamaria inizia i lavori spianando una collina alta circa 165 metri, di cui lascerà solo la montagnola, tutt’ora esistente. Da subito il progetto è monumentale: gli architetti impegnati furono, fra gli altri, il frate domenicano Tommaso Maria Napoli, coadiuvatore del Senato di Palermo (a lui venne commissionata anche la progettazione di Villa Palagonia) e Giovan Battista Cascione Vaccarini. L’impianto è barocco e comprende un grande palazzo a due piani con la tipica scala a tenaglia, due terrazze laterali che abbracciano il grande cortile d’ingresso, un giardino pensile con annessi teatri, scuderie, cappella, padiglioni, fontane e statue inserite all’interno di un parco grande oltre 20 ettari, con vista sui golfi di Palermo e di Termini Imerese.
La villa nasce in rapporto inscindibile con il parco (e questo è ancora più importante alla luce delle vicende future). Del resto, Giuseppe era appassionato di botanica: nel 1692 aveva promosso e finanziato l’Hortus Catholicus ovvero l’orto botanico più grande di Sicilia nel suo feudo di Misilmeri. Affidò l’incarico allo studioso Francesco Cupani, che riuscì a collezionare specie provenienti non solo dalla Sicilia ma anche dal resto dell’Europa (piante che, anni dopo, verranno trasferite e trapiantate nell’Orto botanico di Palermo). Nel 1696 ne viene tratto un libro, tra le opere scientifiche più interessanti pubblicate nella Sicilia nel XVII sec., stampato a Napoli e dedicato al principe della Cattolica e duca di Misilmeri. Il Cupani vi descrive ed elenca in ordine alfabetico tutte le piante coltivate in quell’orto botanico, fornendo di ciascuna le qualità terapeutiche e pratiche, indicandone alcune con nomenclatura binomia, in anticipo sul periodo linneano.
La chiave della conoscenza: Marianna
L’opera di costruzione continua mentre le vicende della famiglia si fanno più complesse: il primogenito di Annamaria, Francesco Saverio, muore senza avere figli maschi (1739); sarà nominata erede la sua primogenita Marianna che, per motivi di conservazione di titoli e patrimonio, viene data in sposa allo zio Pietro. È la vicenda a cui si ispira liberamente Dacia Marini per il suo libro “La lunga vita di Marianna Ucrìa”(1990).
Marianna è il nume tutelare di Villa, raffigurata nel medaglione in pietra al centro della facciata est, possiamo vederla nel ritratto intero conservato nel salone da ballo di Palazzo Valguarnera Gangi. La principessa è sordomuta, un grosso handicap per l’epoca, che però non le impedisce di diventare una formidabile padrona di casa. Culturalmente aperta, naturalmente curiosa e indipendente nelle decisioni, impara presto a comunicare con i gesti; sosterrà al meglio la gestione della casa che soleva amministrare attraverso decine di biglietti scritti di suo pugno.
La casa a è finalmente completata intorno agli anni ’60 e sicuramente nel 1761, data di pubblicazione de “La Storia presente della Sicilia” di Arcangelo Leanti in cui troviamo un’incisione della villa ormai ultimata. Il clima culturale nel frattempo è cambiato, le corti e i principi più aggiornati dell’epoca si interessano all’Illuminismo, alle nuove idee scientifiche e filosofiche. Qui non siamo nella Sicilia più provinciale, siamo in una delle corti che aspira a condividere, al pari di altri centri europei, un ruolo di primo piano nell’elaborazione del nuovo sapere. Frequentavano la villa personaggi come Niccolò Cento, matematico siciliano e filosofo, professore di matematica e scienze nelle Università di Palermo, membro della società reale delle scienze di Napoli, traduttore di Leibniz; Francesco Algarotti, scrittore, filosofo, anglofilo, erudito, dotato di conoscenze che spaziavano dal newtonianismo all’architettura, alla musica, amico delle personalità più grandi dell’epoca, tra cui anche Federico il Grande. Algarotti viene omaggiato, nella camera omonima, da in un piccolo affresco che raffigura il suo monumento funebre al cimitero di Pisa, riprova dell’appartenenza sua e della famiglia Valguarnera, allo stesso ambiente culturale internazionale, nutrito di un certo tipo di sapere esoterico, e condiviso solo da pochi illuminati.
Pietro e Marianna, che alla morte del marito (1779) ne continuerà e accrescerà l’opera sostenuta dal figlio Giuseppe Emanuele, iniziano un progetto di revisione della villa per adattarla a questi nuovi ideali di sapere liberale e anticlericale, che pongono al centro del mondo l’uomo raffinato attraverso le sue virtù razionali. Le nuove decorazioni contengono simboli e figure il cui significato è leggibile solo da coloro che condividono certi segreti. Questo avviene soprattutto nel piano nobile in cui l’affresco del salone centrale raffigura il principe Giuseppe Emanuele circondato dalle virtù Forza, Giustizia, Prudenza e Concordia, al posto della Temperanza, simbolo della fratellanza massonica. La villa stessa diventa tempio di un certo tipo di conoscenza, condiviso sicuramente con le altre ville di Bagheria.
Ciò diventa tanto più evidente in giardino, guardando la montagnola e al suo percorso zigzagante, di chiara derivazione Rosa-Croce, una via iniziatica la cui meta è la promessa della conoscenza che può essere raggiunta solo attraverso l’Amore: così a pochi passi dalla vetta, dalla loro grotta, Aci e Galatea coronano la loro unione di fronte a un ammansito Polifemo intento a suonare il flauto di Pan, mentre Urania, che troneggiava sul piedistallo del Belvedere ottagono, diploma l’iniziato in guisa di un Ercole moderno (la statua di Polifemo è stata trafugata; quella di Urania si trova all’interno della Villa).
Marianna si compiace della sua dimora e ordina nel 1785 una “Descrizione della Villa Valguarnera” ad uso dei visitatori: trattasi di una vera e propria guida, in piena epoca del grand tour, scritta dall’intellettuale di corte Giovanni Cesti, abate di casa, probabile precettore dei giovani Valguarnera e forse tramite per Algarotti.
A quella data la villa è conclusa nel nuovo assetto illuministico. A guardarla dall’alto ha una pianta a forma di chiave della conoscenza: è uno dei primi esempi di architettura neoclassica, al quale si sono ispirati personaggi come Schinkel e Dufourny per realizzare regge e palazzi in Europa.
Il restauro: Vittoria San Martino de Spucches
Ogni epoca d’oro presagisce un periodo di decadenza, così durante il XIX secolo la villa va incontro ad un progressivo impoverimento. I tempi e le fortune cambiano e la famiglia si ritrova in difficoltà economiche; sebbene ancora integra, la casa è assai trascurata, ha bisogno di costosi lavori di mantenimento e restauri.
Arriviamo ai primi del XX secolo ed ecco, ancora una volta, una donna protagonista delle sorti della villa: Vittoria San Martino de Spucches (1890 – 1971), sposa del Principe di Villafranca Gabriele Alliata Bazan. Vittoria era di origine messinese e fu cresciuta con un’educazione rigida, si pensi che fu la prima donna italiana laureata in legge all’Università di Friburgo. A soli 18 anni perse gran parte dei suoi affetti a causa del terremoto di Messina del 1908: crollò il palazzo di famiglia, lei riuscì a salvarsi trovando riparo sotto l’architrave di una grande finestra. A questo caso del destino si deve anche la sopravvivenza di Villa Valguarnera.
Una volta arrivata a Bagheria, Vittoria dovette affrontare con grande senso di realtà i problemi economici in cui versava la famiglia e la decadenza delle antiche dimore (all’epoca erano ancora proprietari di Palazzo Villafranca a Palermo). Fu una donna risoluta, che riuscì ad attraversare anche il periodo della guerra, attuando un’amministrazione attenta con la quale riuscì a sanare i debiti e finanziare, in accordo con i cognati Alliata, i restauri ormai urgenti.
Rimasta presto vedova del principe Gabriele (1927) sposa il professor Ettore Gabrici, importantissimo archeologo e numismatico, che condusse gli scavi di Selinunte dal 1915 e poi per tutta l’isola. Fu sicuramente grazie a lui che conobbe Francesco Valenti, all’epoca Soprintendente dei beni culturali di Palermo, a cui affidò i restauri dell’intera proprietà iniziati a partire dagli anni ’30 e che hanno risanato la casa per come ancora oggi la vediamo.
Vivono in villa anche gli altri due fratelli del marito: Alvaro, il fratello gemello di Gabriele, e Enrico Maria duca di Salaparuta [1], noto imprenditore vinicolo ma anche gastro-sofista, steineriano e scrittore, nel 1930, di un libro pioniere della cucina vegetariana e crudista, nonché padre di Topazia, pittrice amica di Guttuso, e nonno di Dacia Maraini.
Il grande scandalo: espropriazioni e mafia
Nel 1952 il Comune di Bagheria, per ragioni di pubblica utilità, ottiene l’esproprio di una porzione del giardino all’italiana della villa, quella dell’agrumeto. È l’inizio di una battaglia legale e soprattutto illegale che di fatto non si fermerà più. Vittoria richiede l’intervento della Soprintendenza per far valere il vincolo sotto cui la villa è protetta sin dal 1914, ma il soprintendente dell’epoca Armando Dillon, pur pronunciandosi sulla rispettabilità del vincolo, ammette in realtà che quella parte di giardino non ha valori di artisticità. In un clima di totale confusione, quella che doveva essere una piccola porzione, finì per comprendere parti di terreno ben più ampio che non verranno utilizzati solo per scuola, effettivamente costruita, ma per ottenere terreni lottizzati a fini speculativi, nell’interesse di ben noti personaggi di Bagheria. Di fatto la Villa viene erosa di quasi 1/3 del suo parco: poco dopo l’esproprio uno dei nipoti di Vittoria, Carlo di Lazzarino, muore di crepacuore vedendosi spogliato dell’agrumeto in cui tanto aveva investito.
Vittoria reagisce dedicando tutte le sue energie alla difesa della Villa, propone alternative che non vengono ascoltate, ricorrerà contro l’esproprio, ma la Giustizia Amministrativa archivierà la causa per un vizio di forma. La costruzione intanto prosegue e col giardino andranno perduti anche la Kaffehaus, che ispirò la Villa Giulia di Palermo, un grande fontanone e lo scalone attribuito ad Andrea Gigante . Al loro posto nasce un quartiere abusivo: l’impianto originario della villa è ormai irrimediabilmente sfregiato. È questo il momento in cui anche altre meravigliose ville di Bagheria con i loro parchi, per motivi diversi, verranno distrutte. Si pensi al parco di Villa Butera con la sua Certosa, o al parco di Villa Palagonia, con il suo viale ornato di centinaia di statue mostruose che tanto avevano eccitato la fantasia dei viaggiatori. Quella ricca rete di giardini che collegava insieme le Ville della prima aristocrazia siciliana sarà irrimediabilmente sostituita da un’infinità di condomini popolari.
La lotta per la salvaguardia del giardino è perduta, il vincolo si è dimostrato inefficace, incagliandosi tra le spire di una burocrazia ambigua. A Vittoria San Martino non rimane che pretendere la ricognizione del vincolo su quanto rimaneva della proprietà, ai sensi della legge 1089/39, che introducendo l’obbligo di trascrizione in conservatoria, non lasciava margini interpretativi. Ciò nonostante una nuova ondata di abusi edilizi negli anni ’80 consumerà altra vasta porzione del parco.
Nel 1971 Vittoria muore e con lei viene a mancare una personalità forte a difesa della villa che passa al primogenito Giuseppe Alliata di Villafranca e poi a sua moglie Rosaria Correale. La villa diventa sempre più malandata, terra di facile conquista. Alla sua morte, Rosaria principessa vedova di Villafranca (1988), contrariamente a quanto disposto dal marito Giuseppe nelle sue ultime volontà, lascia la Villa all’Opus Dei e il Palazzo Villafranca di Palermo al Seminario Arcivescovile, legandolo alla realizzazione di un museo a memoria della famiglia. La famiglia Alliata impugnerà il testamento ottenendo la rinuncia dell’Opus Dei, ma nulla potendo sulla casa di Palermo che, dopo quasi trent’anni di abbandono, è stato finalmente reso fruibile ed è oggi gestito da un’Associazione Culturale. Intanto viene nominato un custode giudiziario della villa che, per tutta risposta, in una situazione di totale lassismo, si costruisce una villa abusiva nel parco. È la prima di altre costruzioni, vere e proprie villette costruite ai piedi della Montagnola che diventeranno l’odierna via Sofocle, chiamata anche Mafia Road. Qui infatti si installa il clan di Bernardo Provenzano e vi abitano tra gli altri Sergio Flamia, Giacinto di Salvo, Salvatore Buttitta.
Intanto il fratello di Giuseppe, Francesco Alliata, già noto imprenditore cinematografico e fondatore della Panaria film, decide di intervenire e fa la prima denuncia contro questi abusi nel 1989. Nel ’90 avviene il furto con una gru di una statua antica, il Polifemo che si trovava sulla Montagnola. Molti ne seguiranno ancora verso le statue del giardino e verso gli arredi. La più grave, metafora della vittoria delle forze oscure del male, fu la vandalizzazione della Montagnola. Qui, la notte a seguito dell’attentato di Falcone, in preda ad un’orgia di brutalità efferata, viene distrutta la balaustra settecentesca.
La rinascita: Vittoria Alliata
L’evento segna il superamento di un limite e scatena la decisione repentina e improrogabile di Vittoria Alliata, omonima di sua nonna e figlia di Francesco. All’indomani della strage si trasferisce nella villa (1992). Da quel giorno non ha mai smesso di combattere per salvarla dalla distruzione e dagli abusi. Una lotta difficile, logorante, fatta a rischio della sua stessa vita e in cui però ha sempre creduto, senza mai desistere. La sua battaglia è diversa: di fronte alla violenza e all’illegalità la sua unica arma è la parola e la giustizia. Grazie alla sua precedente attività giornalistica riesce ad attirare l’attenzione della stampa internazionale sulle vicende della villa. Il fatto di essere sotto i riflettori è la sua unica possibile difesa di fronte alle continue minacce, intimidazioni (le vengono fatti trovare cani avvelenati o strangolati, galline decapitate e altri animali morti), pressioni e anche furti (come quello degli arredi del suo appartamento a Palermo). La pubblica coscienza è l’unica voce che può far leva su una situazione stagnante, un pantano mafioso colluso con molti cittadini di Bagheria, ognuno con il suo piccolo vantaggio nel mantenere questa situazione. Vittoria avvia circa 200 cause, di cui molte purtroppo contro le istituzioni, che hanno consentito alla criminalità organizzata di istallarsi indisturbatamente e che non hanno tutelato il parco e il monumento stesso.
Anche sul fronte dei restauri la situazione è complicata a causa delle complesse vicende ereditarie. Vittoria e Francesco nel ’92 presentano un progetto di restauro [2] che viene inizialmente accettato dalla Soprintendenza e poi bloccato perché, su richiesta degli altri proprietari, avvia anche altri lavori per il rinforzo della barchessa nord. Questi lavori, diretti dall’architetto Vladimir Zorich, prevedevano l’uso del cemento armato, evidentemente troppo pesante per una struttura antica come quella e per tanto destinata inevitabilmente a cedere. Vittoria prepara un dossier fotografico e denuncia queste irregolarità ma, ciò nonostante, i lavori continuano, si concludono e verranno pagati regolarmente nel ’94. Una volta tolti i ponteggi, tutta la volta della barchessa crolla (1995), causando la perdita irrimediabile degli affreschi settecenteschi delle volte e della cappella, tutt’ora gravemente danneggiata.
Non è facile convivere letteralmente con chi minaccia di distruggere la tua casa o chi ti vorrebbe eliminare. La villa è un monumento meraviglioso che, aldilà del parco, attira gli appetiti di molti personaggi potenti, tra i più arditi progetti c’era chi voleva trasformarla in casinò. La stessa situazione delle case abusive in via Sofocle non è stata tutt’oggi sanata: nessuna costruzione è stata demolita, in alcune, nonostante siano state confiscate, abitano ancora i discendenti dei mafiosi condannati da anni e niente divide queste villette e i loro proprietari da Villa Valguarnera. [3]
Ma gli anni passano e le cose si muovono: nel 2006 viene arrestato Provenzano. Nel 2011 Francesco Alliata, all’epoca 92enne, decide di occupare la casa invitando all’apertura la stampa e tutta la popolazione di Bagheria per mostrare in diretta lo stato d’incuria e rovina in cui è ridotta. Ne esce un caso di cronaca, si dichiara prigioniero politico della burocrazia, dice “Se mettiamo mano ai lavori, con progetti esecutivi presentati da anni, veniamo denunciati per abuso. Se non lo facciamo, veniamo denunciati per crollo doloso, un reato punibile con l’arresto da 1 a 5 anni.” [4]
Il gesto estremo è l’unico possibile per forzare questo paradossale impasse burocratico: circa 5000 persone prendono visione della situazione e di fronte ad una tale denuncia pubblica le cose iniziano a sbloccarsi. Nell’estate del 2011 Vittoria e suo padre aprono la villa all’arte: nel mese di agosto viene organizzata una mostra dal titolo Duriora Decoxi (più duri ne ho spezzati) [5] durante la quale vengono ospitati un gruppo di 40 artisti, siciliani e non, per creare una serie di opere, eventi e installazioni site specific per attirare più visitatori possibili. Sulla facciata principale della villa campeggia la scritta in neon CASINO, opera del Laboratorio Saccardi, a ricordo del rischio corso . L’artista Desideria Burgio gira una video intervista a Francesco che verrà presentata alla Biennale di Venezia di quello stesso anno. Alla fine dell’evento viene organizzato un grande concerto in onore di Morricone: la villa si apre e si riconcilia con il mondo.
Oggi
Le proprietà si uniscono nel 2012, Francesco muore nel 2015. Rimane unica proprietaria Vittoria Alliata, che è anche una raffinata studiosa dell’islam, traduttrice e scrittrice. La sua fervida attività intellettuale continua di pari passo con quella di difesa, portando avanti le molte cause ancora aperte e i nuovi problemi da affrontare. Ma la villa ora è aperta alle visite (solo su prenotazione e in gruppo) e anche a tutti coloro che vogliono soggiornare nei 3 bellissimi appartamenti ricavati nelle barchesse, cosa resa possibile grazie all’ente no profit Panaria Film, erede della gloriosa casa di produzione cinematografica, al quale la proprietaria ne ha affidato la gestione e la cura.
Per la sua bellezza la villa ha attirato l’attenzione di artisti, registi (l’ultimo Ferzan Ozpetek, che ha girato qui molte scene de “La dea fortuna”), servizi fotografici, eventi culturali. Giuseppe Tornatore si è ispirato alle vicende della principessa Vittoria per lo spot realizzato per Dolce&Gabbana nel 2016, in cui così poeticamente ha raccontato una storia di cura e dedizione per il bene di famiglia [6].
Fonti online:
[1] Il duca della tavola che teorizzò la cucina vegetariana, Repubblica 18 Ottobre 2014
[2] Così Rinascerà Villa Valguarnera, Repubblica 10 Aprile 1996
[3] Puntata de Le Iene del 7 Febbraio 2016
[4] Salviamo Valguarnera! 22 Marzo 2011
[5] Exibart 29 Luglio 2011
[6] Dolce&Gabbana, spot di Tornatore con Sofia Loren per il profumo Rosa Excelsa
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Ringraziamenti:
Ringrazio la Principessa Vittoria che mi ha così gentilmente ospitato, aperto la sua casa e consentito la visita;
L’Arch. Alberto Straci per avermi guidato e seguito attentamente e per avermi messo a disposizione i suoi preziosi studi.
Esterni:
facciata principale
la dedica della Principessa Annamaria a suo marito Giuseppe “mio sposo diletto per amor tuo ho spianato questa montagna”
la scala a tenaglia
la facciata est della villa dà sul mare, in alto si può riconoscere il medaglione in pietra con il ritratto di Marianna.
La Terrazza di Nettuno è chiamata così per la sua fontana. Nel mezzo della terrazza si possono vedere due cycas antichissime fatte arrivare dall’America Centrale.
La fontana del Nettuno
uno degli alberi secolari del giardino
il gazebo dove il Duca Enrico soleva pranzare
Entrata Piano Nobile:
Salone di Ercole:
Il piano nobile è quello in cui più sono evidenti raffigurazioni dal doppio significato, aggiunte in seguito all’adesione di Marianna e Pietro alle idee illuministico-esoteriche negli anni ’70 e ’80 del Settecento. Solo l’iniziato potrà interpretare alcuni simboli che ai più invece sembreranno decorazioni come altre. Cominciamo proprio dal salone più importante, dedicato ad Ercole, poiché nei 4 catini sono raffigurate le sue imprese nelle varie età dell’uomo: Ercole contro il leone, contro Idra, contro il gigante Caco e contro Cerbero, quando è ormai vecchio. Al centro del soffitto, racchiuso in un ottagono, figura che raccorda terra e cielo, si può vedere quella che appare come la canonica rappresentazione del Principe in trionfo, ma è a tutti gli effetti un manifesto di appartenenza massonica. Il principe Emanuele, figlio di Marianna e Pietro, è sul trono e tiene il motto dei Valguarnera circondato dalle 4 virtù: Forza, Giustizia, Prudenza e, al posto della Temperanza, la Concordia, simbolo della fratellanza massonica. L’adepto poteva interpretare queste scene come un insegnamento secondo il quale per tutta la vita l’uomo deve combattere per poter arrivare alla sua massima raffinazione intellettuale. Sullo sfondo infatti un angelo additato da Ermes e dagli altri olimpi, è addita un palazzo lontano, la Gerusalemme Celeste che altro non è che Villa Butera di Bagheria, casa della nonna di Marianna e dimora del gran Maestro, il Principe di Butera (Palazzo Butera è oggi sede del Comune, gli affreschi del salone raffigurano Ercole in trionfo).
Sulle pareti si trovavano delle tele del Serenario con i ritratti della famiglia Valguarnera, che furono strappate durante il furto dell’87, oggi sono state rimpiazzate da figure orientaliste. Nelle sovrapporte sono raffigurati i feudi della casata: il Principato di Valguarnera, di Gravina, di Gangi e la Contea di Assoro. Sopra le specchiere invece sono rappresentate la Villa di Bagheria e la Fonte di Risalaimi.
Il salone di Ercole fu ristrutturato in concomitanza con il lavori di Palazzo Gangi a Palermo, dove infatti c’è una sala da pranzo pressoché identica.
Sala Algarotti:
Chiamata così in onore di Francesco Algarotti, la cui tomba al Camposanto di Pisa è raffigurata sulla parete di fronte le finestre. Il suo nome è scritto come VALVAROTTO, probabile gioco di parole tra Valguarnera + Algarotti.
CASINO è l’opera del Laboratorio Saccardi realizzata in occasione della mostra “Duriora Decoxi” e temporaneamente messa nella stanza di Algarotti. Per vedere l’opera originale qui: www.laboratoriosaccardi.it
Camera dell’Alcova e bagno
Anche l’alcova e il bagno collegato presentano simboli e figure riconducibili ad una lettura esoterica. Sul soffitto è raffigurata la scena di Alcide al bivio, su modello di un’incisione francese proveniente dal frontespizio della I edizione di Metastasio e ispirato sicuramente all’Ercole al bivio dei Carracci. Anche qui una scelta, come a dire “intraprendi la strada virtuosa e potrai raggiungere la conoscenza più segreta”, metaforicamente rappresentata dal bagno di Athanor.
Il prezioso bagno collegato infatti presenta sul soffitto una figura assai inusuale: Athanor raffigurato vecchio perché saggio e nudo perché innocente. Nel suo corpo si uniscono acqua e fuoco forgiando così la pietra filosofale. È simbolo dell’unione dei contrari e dell’equilibrio del creato. Negli angoli c’è Ercole, raffigurato ormai a riposo, ed Eros che ha sconfitto i falsi miti degli uomini cioè la guerra e il denaro: solo attraverso l’amore si può raggiungere l’armonia e la pace.
Stanza Apollo e Diana:
I due dei greci sono raffigurati nelle pareti lunghe, mentre nei tondi a fondo azzurro sono ritratti i sovrani illuminati dell’epoca.
Salone di Iside:
Il salone è decorato secondo un gusto pienamente neoclassico, lo stile è dell’Interguglielmi o seguaci. Ha dei riferimenti a figure egizie, secondo la moda dell’epoca, da cui il nome.
Salotto barocco e stanza della musica:
PIANO TERRA:
Biblioteca :
Sul soffitto è raffigurato lo stemma del Principe Giuseppe Emanuele, oggi è la biblioteca più grande di Villa. Vi è custodita anche una copia della prima edizione dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert.
Salone Cook:
La famiglia decide di dedicare questo salone all’esploratore James Cook a seguito dei suoi viaggi di scoperta del 1772-5. Un soggetto assai inusuale, in linea con il tipo di sapere scientifico e anticlericale che la famiglia condivideva. Sulle pareti furono fatte raffigurare da Elia Interguglielmi alcune scene tratte dal libro di Hodges, l’illustratore che seguì Cook nei suoi viaggi, pubblicato nel 1875. Le scene erano 4: lo sbarco di Cook a El Romango; lo sbarco del capitano Wallis a Middleburg; la regina Oberea rinuncia alle isole di Thaiti; scena da ballo all’Isola Ulietea. Sui lati corti, oggi occupati da meravigliose specchiere, erano raffigurati i ritratti dei selvaggi della Terra del fuoco e delle Isole di Pasqua. Nella volta si trovava invece il trionfo del capitano Cook, andato perduto in un crollo probabilmente alla fine dell’800.
Questi inusuali affreschi furono coperti col tempo da quadrature di colore pastello così che quando Vittoria Alliata venne a vivere nella villa nel ’92 non potè vederli. Solo nel 2010, a causa di un’infiltrazione di una pianta di cappero che rovinava l’intonaco, spunta fuori la parola “Cook”. E’ così che vengono riscoperte queste pitture ormai ritenute perdute. Alla storia si ispira Tornatore per lo spot con Sofia Loren, di cui è ancora presente nella sala il finto affresco usato per il video.
Oggi il salone ospita alcune delle statue dei Serpotta e del Marabitti originariamente poste nel giardino e miracolosamente salvate dai furti.
la terrazza di Nettuno a cui dà accesso il salone Cook
Stanza dei Pizzi:
Conserva alcuni pizzi e stoffe antiche come l’arazzo broccato di seta del XVII secolo, 2 sfilati siciliani e 2 pizzi valenciennes.
I tondi sulle pareti sono dipinti di Renato Guttuso, grande amico di Topazia Alliata.
Stanza dello zodiaco:
Il soffitto con i segni dello zodiaco, dipinto negli anni’70/80 del 700, replica il tempio di Bel di Palmira.
Pinacoteca:
Sono appese al muro numerose incisioni di Piranesi e altre opere di artisti amici della Principessa (Emilio Isgrò, Bruno Caruso, Robert Rauschenberg, per dirne alcuni). Il ritratto pop è stato realizzato da Linda Randazzo in occasione della mostra Duriora Decoxi.
Stanza dei morti:
Questa stanza è il frutto di un bizzarro scherzo che, nel tardo ‘800, uno degli antenati volle fare ad amici e notabili della città facendola dipingere con i loro ritratti.
Sala Grastoni:
Chiamata così per grossi vasi (grastoni) dipinti alle pareti, oggi è dedicato agli studi di islamistica della Principessa Vittoria.
Sala da pranzo araba:
Nella bella sala da pranzo, arredata con i souvenir dei viaggi in Oriente della Principessa, sono visibili due mantelli tradizionali di manifattura arbëresh che sono sempre stati in villa.
ALTRE STANZE:
la tenda araba
una delle altre camere da letto al piano nobile
la cappella il cui soffitto è stato distrutto a causa dei restauri del ’94
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