Villa Cahen, uno dei rari esempi di architettura liberty in Umbria, è legata alle vicende dei Cahen, una facoltosa famiglia di banchieri ebrei di origine belga. La loro storia si intreccia strettamente ad alcuni degli avvenimenti più importanti del nostro paese, durante uno dei periodi più floridi di sempre, quello tra il Risorgimento italiano ed il trionfo della Belle Époque.
Non si può affermare che alle loro azioni sia stato subordinato il futuro dell’Italia, ma di certo ebbero ruoli di primo piano nel processo di unificazione, nell’espansione capitalistica e durante la speculazione edilizia di Roma. La loro parabola di trionfi, che collega l’Italia liberty con l’Inghilterra preraffaellita, si arresta con l’avvento delle leggi raziali per poi sparire definitivamente dopo il secondo conflitto mondiale.
Una famiglia di banchieri
Nonostante la loro denominazione “d’Anvers”, i Cahen (il cui nome è il risultato di una modifica del più comune Cohen, fatta probabilmente per camuffare le proprie origini ebraiche) erano originari della valle del Reno. Il capostipite della dinastia italiana, Meyer Joseph Cahen, era un rappresentante di zucchero che si trasferì ad Anversa nel 1829 dove incontrò Clara Bischoffsheim, erede di una famiglia di banchieri con sedi in Olanda e in Belgio. In brevissimo tempo i due si sposarono e Meyer Cahen entrò a far parte della società di famiglia, la Bischoffsheim & Goldschmidt Bank. Da tale unione nacquero cinque figli: Édouard, Emma, Louis e Raphael.
La rivoluzione e la guerra belga-olandese impoverirono l’economia del Belgio, con conseguente deprezzamento dei titoli azionari: Meyer Cahen li acquistò, rivendendoli con profitti enormi in Olanda e spostò le proprie attività finanziarie nella più economicamente florida Parigi, dove si trasferì nel 1849. Qui estese presto i propri affari: fu subito ammesso, con voto unanime, a far parte della Réunion financiére, co-fondò il Credit Mobilier e finì per amministrare persino la Société Générale. Naturalmente, per potersi muovere con disinvoltura nei diversi affari nazionali, oltre a conoscere le condizioni delle diverse borse, doveva allacciare rapporti di fiducia con tutti i personaggi di spicco dei circuiti finanziari dei vari paesi.
Joseph entrò quindi a far parte della corte di Napoleone III, strinse amicizia con l’allora ministro dell’istruzione Nicolas Fortoul e fu tra i primi ad intravedere la possibilità di fare affari nel processo unitario italiano.
Fu il papa Pio IX, Giovan Maria Mastai Ferretti, a concedere per primo a Joseph Cahen il titolo di Conte, anche se il motivo è ancora ignoto. Inoltre, nel 1848, Joseph Cahen aveva prestato una ingente somma di denaro al re Carlo Alberto, per la dichiarazione di guerra all’Austria: fu per questo motivo che i Savoia decisero di ripagare la disponibilità riservatagli e Joseph fu insignito nuovamente del titolo di conte, trasmissibile ai figli maschi, da Vittorio Emanuele II, di cui fu anche finanziere personale.
Joseph tuttavia non risiedette mai in Italia e nel 1855 acquistò il castello di Nainville, che aveva un parco di 42 ettari, divenendo nel 1866 sindaco della cittadina.
la famiglia Cahen con altri ospiti nei giardini della Villa
L’Italia
Fu uno dei suoi figli, Édouard naturalizzato Eduardo, che già alla fine degli anni ’80 dell’800 aveva stretto rapporti con l’ambiente italiano, dove aveva contribuito alla fondazione della Banca Generale e della Banca Napoletana. Ma l’affare del secolo, come fu battezzato dagli osservatori dell’epoca, fu la speculazione edilizia di Roma neo capitale, di cui Eduardo Cahen fu elemento chiave e ne consacrò l’ascesa nell’élite affaristica della penisola. L’espansione della città seguì due linee chiave: l’Esquilino, con destinazione signorile e la zona Prati di Castello, destinata ad una edilizia più popolare. Di lì a poco Eduardo fece costruire anche il ponte a Ripetta, ovvero il collegamento con l’antico centro storico dall’altra parte del Tevere, ponendo fine all’isolamento della zona transtiberina a nord di San Pietro. Fu un’intuizione fortunatissima, al punto che anche il Re e la Regina solevano attraversare il quartiere Prati, sfilando per le sue vie, per giungere in centro. È grazie ai profitti derivanti da tale speculazione che Eduardo riuscì ad acquistare le tenute di Torre Alfina, nella Tuscia, la cui opera di rivalorizzazione gli valsero il titolo di Marchese di Torre Alfina da parte del re Umberto I.
Fu nel 1880 che Eduardo Cahen acquistò la tenuta, di oltre 300 ettari, che va da Torre Alfina ad Allerona dal marchese Bourbon del Monte, insieme alla Rocca in disfacimento che sarebbe diventata l’attuale castello: i lavori di restauro furono diretti da Giuseppe Partini, per poi concludersi ben dopo la morte dello stesso Cahen, a causa di vari incidenti di percorso. Fu il figlio Teofilo Rodolfo che, seguendo i progetti dell’architetto, si fece carico di portare a termine il progetto: riempì le sale di opere d’arte, arredandole secondo il gusto dell’epoca.
Christina Spartali (March 1868) by Julia Margaret Cameron
L’Inghilterra Preraffaellita
Il 4 Dicembre del 1868, nel quartiere di Chelsea, il Conte Eduardo aveva sposato Marie Christine Spartali, la sorella minore della più celebre Marie Spartali Stillman: entrambe le sorelle erano ben inserite nella scena artistica londinese degli anni ’60 del 1800, tanto che Christine era considerata dai Preraffaeliti una delle donne più belle della sua generazione, mentre Marie era stata immortalata da Rossetti e da Edward Burne Jones nel suo Cupid delivering Psyche, diventando poi una pittrice acclamata dopo aver studiato da Ford Maddox Brown. Christine aveva inoltre già posato per Whistler nel 1864 per il dipinto la Principesse du Pays de la Porcellaine ed era stata fotografata da Julia Margaret Cameron nell’Isola di White, dove le sorelle vivevano.
I rapporti tra Christine ed il padre, console generale greco a Londra, erano da sempre tesi: l’uomo si rifiutò di acquistare il dipinto di Whistler perché considerava disdicevole il lavoro da modella della figlia e si oppose al matrimonio con Cahen, a causa del suo credo greco-ortodosso. Christine tuttavia lo sposò contro il parere paterno. Non si hanno testimonianze circa i loro primi incontri, ma dopo il matrimonio vissero a lungo a Napoli, a Roma (nel Palazzo Torlonia in via Bocca di Leone) e a Parigi, dove diedero alla luce i loro due figli, Teofilo Rodolfo ed Ugo. Poco dopo, nel 1880, Christine manifestò la volontà di divorziare da Cahen, senza però mai riuscirci. La sua salute ben presto ne risentì, cosa che la riavvicinò in parte al padre, e morì in circostanze misteriose nel 1884 in Tirolo, probabilmente in seguito ad una overdose di idrato di cloralio, un potente antidepressivo, all’età di 37 anni.
villa Cahen
Villa Cahen
Non esistono documenti sull’autore del progetto di Villa La Selva, la villa che Eduardo Cahen si fece costruire nella tenuta di Allerona, a 5 km all’interno della Selva della Meana. I lavori durarono fino al 1906 e andarono di pari passo con la costruzione del Castello dell’Alfina. La villa, dalla facciata sobria ed elegante con una torretta a modularne le forme, è distribuita su diversi piani: quello seminterrato per i servizi elettrici e termici; un piano terra per le sale da pranzo e da ricevimento; un primo piano con le stanze da letto dei proprietari ed un ultimo piano per le stanze da letto riservate alla servitù.
La parte più interessante è tuttavia il giardino, progettato da due maestri paesaggisti d’oltralpe, Henri e Achille Duchene, già autori del parco di Champs sur Marne, oggi residenza presidenziale francese. Il conte Ugo, da appassionato botanico, aggiungerà al progetto dei paesaggisti francesi una enorme varietà di fiori e piante provenienti dagli angoli più remoti del pianeta, conservati nelle tre serre che circondavano la villa. Il giardino si compone infatti di una zona semi naturale, una zona ispirata allo stile inglese, una zona con giardini all’italiana ed una zona ispirata al Giappone, la primissima in Italia, se escludiamo un debole tentativo a Villa Melzi, a Como. Un luogo eletto, dunque, alla febbre da collezionismo botanico, dove le piante non erano semplici ornamenti.
E’ impossibile invece risalire invece ai pezzi della collezione presenti all’interno della villa, a causa della mancanza di inventari e testimonianze dirette, ma a giudicare da alcuni dei dati pervenuti possiamo concludere che ognuno dei membri della famiglia Cahen amasse l’arte ed il bello, che fossero bon vivant, entusiasti collezionisti e connoisseurs: le liste di alcuni degli oggetti andati all’asta dopo il loro abbandono dell’Italia tradiscono la fascinazione per la storia ed un senso del passato vissuto attraverso un’evocazione appassionata. Non è un caso che Gabriele D’Annunzio menzionava una Cahen d’Anvers come massimo esempio di eleganza mondana nel suo romanzo Il Piacere; Teofilo Rodolfo d’altronde aveva musicato proprio un’opera lirica del Vate, Sogno di un tramonto d’autunno. A Parigi, invece, Renoir ritrasse il ramo francese della famiglia (Albert, fratello del musicista Louis Cahen, e le figlie di quest’ultimo Irene, Alice ed Elisabeth).
il mausoleo neogotico di Eduardo Cahen
Epilogo
La storia di Villa Cahen ha tuttavia un triste epilogo: i due fratelli, entrambi senza discendenti, lasciarono l’Italia in seguito alle leggi razziali del 1938; nel 1943-44 il castello fu usato dai tedeschi come centro di comando e subì danni gravissimi in seguito a dei bombardamenti. Teofilo aveva lasciato invece il castello in eredità al suo maggiordomo e figlio adottivo Urbain Victor Papilloud con il quale, si vociferava, avesse una relazione.
Eduardo Cahen tutt’oggi riposa tra i boschi della Selva della Meana, che lui stesso scelse come prediletto per la sua sepoltura, facendosi costruire un mausoleo neogotico proprio all’interno del Bosco del Sasseto.
Oggi la villa, il parco e la tenuta circostante di oltre 300 ettari, di proprietà demaniale, sono gestiti dal Reparto Carabinieri Biodiversità di Assisi.
FONTI:
Per tutte le informazioni relative alla storia dei Cahen rimando al libro di Alessio Mancini, I Cahen, storia di una famiglia, Intermedia Edizioni.
GIARDINI
le serre il giardino giapponese la limonaia
LA VILLA:
Secondo piano:
Veduta dal tetto: