Raccolgo in questo post, con un po’ di ritardo, piccoli frammenti del mio viaggio a Padova. Simbolo indiscusso della città è la Cappella degli Scrovegni, meta perenne di qualsiasi visitatore. Uno scrigno splendente di colore che impone silenzio a chi entra, e che quasi tramortisce per la ricchezza delle immagini. E’ questa l’opera somma di Giotto, maestro e primo pittore occidentale, colui che sancì il binomio tra Sacro e Bellezza.
E’ così che inizia anche la storia artistica di Padova. La cappella fu commissionata nel 1305 da Enrico Scrovegni, ricchissimo banchiere padovano, a beneficio della sua famiglia e dell’intera popolazione cittadina. Un rappresentante della ricca borghesia, un tipo di commissione che di fatto caratterizzerà tutte le grandi opere della città. Non già dunque una nobiltà antica, né un ricco clero, ma una rampante borghesia vogliosa di immortalarsi in opere d’arte.
Colpisce infatti come a Padova, a differenza di molte città del centro Italia, ad essere centrale non è la chiesa principale, ma il Palazzo della Ragione. Più antica ancora è l’Università che diffonde sin dal medioevo una sorta di scetticismo e pragmatismo che ben si sposa con la mentalità pratica del borghese-commerciante, personaggio che ritroveremo anche protagonista del Caffè Pedrocchi e dell’albergo-ristorante Lo Storione. Sia la Chiesa del Santo sia la Cappella degli Scrovegni si trovano ai margini della città, come se con diffidenza il centro produttivo se ne tenesse a distanza.
Cappella degli Scrovegni:
Prato della Valle:
Palazzo della Ragione:
E’ il centro della città sin dal medioevo e tutt’oggi ospita, sotto i portici, negozi di verdura, carni, formaggi, come una specie di suq ma dal sapore occidentale.
Fu costruito nel 1218-19, ma sarà ampliato e modificato dall’intervento di Giovanni degli Eremitani nel 1306-9, lo stesso che concluderà la costruzione della Chiesa degli Eremitani. Lo scopo era quello di rendere il palazzo più adatto alla funzione di sede per l’amministrazione della giustizia. Progettò così una copertura che avrebbe ospitato affreschi raffiguranti un cielo, stelle e pianeti, seguendo gli studi dell’astrologo Pietro d’Abano ed eseguiti da Giotto e collaboratori e infine completati da Giusto de’ Menabuoi.
Un incendio nel 1420 distrusse l’intera volta e quindi anche gli affreschi. La volta fu ricostruita da un ingegnere navale, Bartolomeo Rizzo, e infatti è a forma di carena di nave. Furono rifatti anche gli affreschi, questa volta sulle pareti e che già alla metà del secolo erano terminati. La parte inferiore delle pareti, invece, ha affreschi di poco più tardi. Il cavallo di legno, realizzato per una giostra nel 1466, fu qui collocato nel 1837. E’ stato donato alla città dalla famiglia Capodilista, che prima lo conservava nel suo palazzo in via Umberto I.
inside Palazzo della Ragione
Il ciclo di affreschi, articolato in 12 parti, è complessissimo da interpretare. Illustra la combinazione tra i mesi, i segni zodiacali, i pianeti, le costellazioni, gli apostoli, le occupazioni dei mestieri e le “simbologie astrologiche individuali” cioè i caratteri umani articolati a seconda dei momenti dell’anno e del mese, una teoria di Pietro d’Abano. Siamo a metà tra le credenze magiche medievali, le paure religiose e la Fortuna tipicamente rinascimentale. Lo stesso tema sarà oggetto del famoso ciclo di affreschi di Palazzo Schifanoja a Ferrara.
Pietro d’Abano interpreta perfettamente questa fase di passaggio. Studioso eclettico, fu filosofo, medico e astrologo e insegnò medicina, filosofia e astrologia all’Università di Parigi e dal 1306 all’Università di Padova. Amico di Marco Polo, visse a lungo a Costantinopoli per imparare il greco e forse anche l’arabo. Ma era troppo curioso per i suoi tempi. Tacciato di eresia per ben tre volte, fu prosciolto le prime due. L’ultima volta morì in prigione a causa delle torture subite, un anno prima della fine del processo. A seguito della condanna il suo cadavere fu dissotterrato per essere arso sul rogo.
portici
Duomo
Caffè Pedrocchi:
Inside Caffè Pedrocchi, first floor
Caffè Pedrocchi, second floor
Pedrocchino, outside Caffè Pedrocchi
Jewish Ghetto
a restaurant in the Ghetto
Palazzo in cui soggiornò Amedeo di Savoia duca d’Aosta
Palazzo del Bo’ (University):
L’università di Padova fu fondata nel 1222 da un gruppo di studenti e professori che migrarono da Bologna, l’università più antica d’Europa. Il bellissimo Palazzo del Bo’ infatti può competere solo con l’Archiginnasio, che però oggi non è più usato come sede universitaria.
Palazzo del Bo’ deriva il suo nome da hospitium bovis perché in origine era un albergo che aveva come insegna la testa di un bue. Fu scelto come sede dell’università di Padova nel 1493 e fu in seguito ampliato.
Devo dire che la scelta di non far fare foto all’interno è abbastanza fastidiosa. Si potrebbe anche accettare, se ci fosse un motivo valido, ma a quanto pare l’unica ragione è spingere poi i visitatori a comprare il libretto esplicativo venduto lì apposta. Con fotografie di bassissimo livello.
Durante la mia visita (marzo 2013) tutto il cortile antico era appaltato per lavori. Nei corridoi superiori però si potevano vedere gli stemmi, che abbondano nell’Aula Magna interna. Ce ne sono di tutti i colori e forme, dal 1400 al 1700 e sono talmente tanti che non si trova più posto per esporli. All’esterno sono stati posti quelli in marmo.
Statua di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, la prima donna al mondo ad essere laureata. Era il 1678.
Staircase and frescos at Palazzo del Bo’, by Gio Ponti, 1941.
Una stranissima combinazione tra antico e moderno sorprende chi visita il Bo’. Gio Ponti ha progettato in questa università la Basilica, l’Aula Magna e lo scalone per il Rettorato, l’unico che ho potuto vedere, tutti alla fine degli anni ’30, come anche il Liviano, che si trova però fuori dal Palazzo.
Questa straordinaria scala, con l’idea fantastica dei gradini colorati, è corredata da un ciclo di affreschi, forse uno dei pochissimi moderni. Rappresentano “L’Umanità e la cultura” ovvero il nascere dell’umanità e della sua cultura che allegoricamente rappresentano anche l’ascesa che ogni studente fa durante gli studi. La statua in marmo “Palinuro” è l’ultima opera dello scultore Arturo Martini ed è dedicata al partigiano Primo Visentin, qui laureatosi.
Sant’Antonio (Il Santo):
Questo è tutto ciò che ho potuto fotografare della magnifica Basilica di Sant’Antonio. La facciata e la volta erano completamente coperti da ponteggi per restauri, il che è abbastanza disturbante, ma il vero peccato è che è vietato fare fotografie all’interno. Il motivo non sono davvero riuscito a capirlo. Peccato davvero, perché la quantità di cappelle, opere, sculture tra cui anche quelle di Donatello, non sono né fotografabili né visibili da vicino.
Sontuosa e senza pari la cappella delle reliquie che mostra, in un apparato scultoreo tipicamente barocco e berniniano, tre grate contenenti moltissime reliquie tra cui anche il mento di Sant’Antonio.
Nel piazzale di fronte la chiesa c’è la copia del famoso monumento equestre al Gattamelata di Donatello. L’originale risale al 1446 al 1453.
The Treasury Chapel. picture from wikipedia.
Behind the balustrade, there is the walkway that allows visitors to admire the “treasure” of the Basilica. The reliquaries are collected in three distinct niches.
The niche in the middle contains the most important relics: from the botton to the top you can see the larynx, the tongue and the jaw of St. Anthony. picture credit: here
Relic of the jaw: the reliquary is a gilded silver masterpiece, a work by Giuliano da Firenze (1434-36). More precisely, the lower jaw, contained in a case shaped like a bust, with a halo and crystal glass where the face should be. It was commissioned in 1349 by Cardinal Guy de Boulogne-sur-Mer.
The Saint’s tongue
Pietro Annigoni, Christ Crucified. 1983
Non ho potuto resistere alla tentazione di rubare alcune foto di questa cappella magnifica chiamata “Cappella delle Benedizioni”. E’ un’altra mistione tra antico e moderno che mi attrae particolarmente. Pietro Annigoni, che realizzò questi affreschi nei primi anni ’80 è un pittore immenso, che prova come ancora oggi può esistere arte figurativa e soprattutto arte sacra.
Pietro Annigoni, St. Anthony preaching from the walnut tree. 1983
Il Gattamelata, by Donatello
La facciata del Santo (Marzo 2013)
Palazzo Zuckermann:
Entrance
A Palazzo Zuckermann, bell’edificio di gusto liberty, si trova il Museo d’Arte e delle Arti Applicate e Decorative. Sono qui raccolti oltre 2000 oggetti dal Medioevo all’ottocento provenienti da lasciti, acquisti e scavi così da cogliere il cambiamento del gusto nelle varie epoche. Al primo piano si trovano perlopiù oggetti di età medievale fino al 1500. Il secondo piano espone oggetti datati al 1700 e fino alla fine del 1800. Si possono vedere cassettoni intagliati e intarsiati, argenterie, oggetti per devozione come croci o reliquiari, vetri, legni, avori.
Particolarmente degno di nota è il nucleo di abiti maschili del XVIII secolo costituito da marsine, camisole e gilet.
Di straordinaria importanza è la collezione di gioielli proveniente dai lasciti Leone Trieste e Sartori Piovene. Leone Trieste lasciò al museo nel 1883 la sua collezione preziosissima di oltre 400 pezzi tra spille, bottoni, catene per orologio e sigilli. Adele Sartori Piovene donò nel 1917 la sua collezione che comprendeva pezzi di gusto parigino. Si sono aggiunti negli anni ’60 e ’70 alcuni lasciti dei Levi Cases e Dal Zio, nonché alcune donazioni di gioielli conteporanei.
Carillon from Austria. late XIX cent.
Il terzo piano ospita la collezione di Nicola Bottacin, ricco commerciante che nel 1865 donò alla città tutto il suo patrimonio. L’esposizione si articola in due itinerari: uno per la collezione di monete, l’altra per le opere d’arte. In un’ideale ricostruzione dell’arredamento della sua villa triestina di San Giovanni in Guardiela, sono qui esposti dipinti di artisti veneti (Bello, Schiavoni, Zona) ma anche triestini (Dell’Acqua) e lombardi (Induno) affiancati dalle sculture del Magni, Cameroni e la bellissima Flora di Vincenzo Vela.
Flora by Vincenzo Vela
Massimiliano d’Asburgo e Carlotta del Belgio
In una sala è ricordata l’amicizia tra Nicola Bottacin e l’imperatore del Messico Massimiliano I d’Asburgo, fucilato a Queretaro. In una teca è esposto il cappello e il ventaglio dell’imperatore.
Pietro Bembo and Renaissance, the exhibition :
Una delle più belle mostre di quest’anno: Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento. Pietro Bembo nasce alla fine del 1400 in una Venezia ancora tutta indaffarata nei commerci cittadini (suo padre era un colto e prestigioso diplomatico). Lui, invece, come ogni figlio annoiato e quasi rammollito dagli agi, se ne fugge appena può.
Trova accoglienza prima a Urbino, dove conosce Raffaello, e poi a Roma, sotto papa Leone X. Questo raffinato taste-maker repelle gli affari e le preoccupazioni della vita attiva per dedicarsi sin da subito allo studio, al collezionismo e alle dissartazioni colte. Nel 1505 pubblica “Gli Asolani”, opera in tre libri pubblicata da Aldo Manuzio che riporta dei dialoghi sull’amore avvenuti idealmente nella villa di Caterina Cornaro. Più tardi, nel 1525, pubblica “Le prose della volgar lingua”, opera cardine per la questione della lingua e in cui, per la prima volta, si propongono dei modelli di scrittura: Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa. E’ a lui che si deve l’invenzione del libro tascabile, in collaborazione con lo stampatore veneziano Aldo Manuzio. Donnaiolo, ma non libertino, questo gaudente gentiluomo già rinascimentale, che verrà nominato cardinale nel 1539 da Paolo III, ama i piaceri raffinati e terreni: per lui il godimento è tutto sensuale. Si annoverano tra le sue conquiste anche Isabella d’Este e Lucrezia Borgia, con la quale scambiava tenerissime lettere. In una di queste lettere sono stati ritrovati dei capelli con i quali, negli anni ’20, è stato fatto un reliquiario. Bellissimo pezzo esposto in mostra e altrimenti conservato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano.
Dopo la morte di Leone si ritira a Padova dove si stabilisce a Palazzo Camerini, in via Altinate. La distanza dalla città è voluta sopratutto per godere di vasti spazi verdi che diventeranno giardini per le sue statue. Bembo segue personalmente la ristrutturazione dell’edificio che diventerà anche il luogo di raccolta per le sue collezioni. Quando Pietro Aretino visitò la sua casa, disse “sembra proprio che Roma si sia trasferita a Padova”. La sua collezione includeva forse, oltre a numerosi pezzi di statuaria antica, alcune opere di Tiziano, che probabilmente gli fece un ritratto, e di Raffaello, con cui era molto amico e per il quale scrisse l’epitaffio oggi leggibile al Pantheon di Roma “Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci, rerum magna parens et moriente mori”. La mostra tenta di ricostruire non tanto la sua originaria collezione, quanto l’atmosfera e soprattutto l’ambiente in cui Bembo visse, come lui stesso disse: “Vissi d’arte vissi d’amore”.
Lucrezia Borgia’s hair. Reliquary made in 1920’s. Milano, Veneranda Pinacoteca Ambrosiana.
inside Palazzo Zabarella, where I saw De Nittis exhibition
holy purchases
2 Commenti a “Padova photodiary”
brava Annalisa complimenti davvero!
Grazie!
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