Dove: Via delle Mura Antiche, 25, 06059 Todi PG
Visite: venerdì – domenica con chiusura pausa pranzo, ma gli orari possono cambiare di mese in mese
Web: www.visitodi.eu
L’Umbria è una regione ricca di un prestigioso passato artistico ed è al contempo una terra apertissima al contemporaneo: Sol LeWitt, ad esempio, dagli anni ’70 e fino a oltre il 2000, ha soggiornato periodicamente nella sua residenza sulle pendici del Monteluco e ha lasciato molte opere nel territorio. Anche Anna Mahler, figlia del compositore Gustav Mahler e della musa viennese Alma Schindler, in quegli anni visse tra Spoleto, Londra e Los Angeles. Vicino Todi si stabilì, nello stesso periodo, l’artista americana Beverly Pepper che, scomparsa da poco, ha donato una serie di sculture alla regione che oggi costituiscono un museo a cielo aperto.
Fu proprio Beverly Pepper a portare a Todi l’artista irlandese Bryan O’Doherty e sua moglie. I due hanno creato una casa museo che, a partire dallo scorso agosto 2019, è stata finalmente inserita nel circuito degli spazi museali cittadini e aperta al pubblico.
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Bryan O’Doherty: critico, artista, presentatore tv e scrittore
Bryan O’Doherty (1928) è irlandese e ha studiato medicina all’University College di Dublino e poi ad Harvard. Inizia la sua carriera di medico nel 1957, quando lavora per un anno in un ospedale oncologico ma ben presto capisce di non essere interessato a questa carriera: “ho trascorso un anno ad Harvard, facendo ogni tipo di ricerca. Ho conseguito un master, ma non ho imparato molto. Mi sono allontanato da tutto ciò che è medico. Ho fatto un’audizione per un lavoro come presentatore televisivo al Museum of Fine Arts dalla stazione televisiva pubblica di Boston, WGBH-TV. Ogni settimana facevo un servizio di mezz’ora dalle gallerie sulle collezioni del museo, oltre a interviste con gli artisti: Marc Chagall, Jacques Lipchitz, Josef Albers, Walter Gropius, tra gli altri”. Probabilmente è così che inizia ad interessarsi all’arte e lascia la medicina per dedicarsi a tempo pieno alle arti visive.
Nel 1958, succede alla storica dell’arte Barbara Novak, docente di storia dell’arte e sua futura moglie, come presentatore della serie televisiva nazionale americana Invitation to Art. Trasferitosi da Boston a New York all’inizio degli anni Sessanta, O’Doherty diventa critico d’arte del New York Times e conduce il programma televisivo Dialogues. In seguito commissiona la fondamentale rivista Aspen (1967), che include opere di Roland Barthes, Samuel Beckett, John Cage, Sol LeWitt, Andy Warhol e Susan Sontag, e scrive un importante saggio di critica d’arte, Inside the White Cube: The Ideology of the Gallery Space, pubblicato nel 1976. Si è dedicato anche alla scrittura di romanzi come The Deposition of Father McGreevy (1999), che è stato candidato al Booker Prize nel 2000 e il suo ultimo romanzo è del 2014, The Cross-Dresser’s Secret.
I fatti del conflitto nordirlandese lo toccano particolarmente e nel 1972 prende il nome di Patrick Ireland, in segno di protesta contro l’efferata strage di tredici pacifisti disarmati uccisi dall’esercito inglese, che, domenica 30 gennaio 1972, occupava la città di Derry nell’Irlanda del Nord (la Bloody Sunday). Abbandonò questo nome solo nel 2008, con la commemorazione della pace in Irlanda del Nord e la proclamazione della sua indipendenza dall’Inghilterra. La sua effigie fu solennemente sepolta davanti a un pubblico internazionale a Dublino, nel parco dell’IMMA (Irish Museum of Modern Art) sotto una lapide su cui è incisa la scritta Patrick Ireland, 1972-2008 e le parole ONE, HERE, NOW in Ogham.
Come artista può essere definito un minimalista concettuale, che guarda molto ad artisti come Mark Rothko, Sol LeWitt, Duchamp e Hopper; nel 2018 tre mostre in Irlanda hanno celebrato la sua arte (qui qualche foto), ma tra le sue opere c’è anche una casa, nel centro storico di Todi. Nei primi anni ‘70 Bryan e sua moglie vengono invitati in Umbria dall’amica e artista statunitense Beverly Pepper, fortemente legata al territorio umbro (tanto da stabilirsi in un castello medievale nella frazione di Torre Gentile, oggi sede della sua Fondazione), si innamorano del posto e acquistano una casa a Todi nel 1975. E’ un’abitazione ottocentesca di 3 piani, tutta sviluppata in altezza, con scale ripide e piccole finestre che danno sui tetti del paese, destinata ad essere la casa delle vacanze. I due, infatti, trascorrono l’inverno a New York e l’estate in Umbria. Dal 1977 Bryan inizia a dipingere le pareti dell’intera casa, trasformandola col tempo in una straordinaria opera d’arte complessiva, oggi conosciuta come “Casa Dipinta”.
Brian O’Doherty and Barbara Novak at the Sirius Arts Centre, Cobh, 2018
La Casa Dipinta
E’ una coloratissima abitazione, dagli spazi puri e calibrati, che però non perde il suo fine abitativo. Rimane infatti una vera e propria casa perfettamente arredata, dove i coniugi continuano peraltro a vivere quando tornano in Italia (anche se sono assenti dal 2019).
Al primo piano, appena entrati, si trova la cucina e la sala da pranzo: le pareti sono decorate con parole scritte nell’antico alfabeto Ogham, usato in Irlanda fino al VII secolo, inciso sulla corteccia degli alberi o su pietra, un linguaggio fatto di righe e spazi apprezzato da O’Doherty per il suo minimalismo. L’artista ha quindi tradotto l’alfabeto latino nei 20 segni dall’alfabeto oghamico e ha dipinto su un architrave, ben visibile entrando nella casa, queste parole: ONE HERE NOW (uno, adesso, qui) nel doppio linguaggio. Altre pareti celebrano le vocali o ripetono le tre parole chiave del linguaggio artistico di O’Doherty (One, Here, Now) con grandi dipinti composti da linee, geometrie e colori nei toni delicati del verde, dell’azzurro, del bianco, dell’arancio e del giallo. A sinistra delle scale che portano al piano superiore si può apprezzare il Dizionario dell’Io, un elenco di tutte le possibilità che l’artista ha sperimentato per riprodurre il numero 5 e la lettera I che in inglese è “io”.
Salendo le coloratissime scale si arriva al soggiorno, in cui invece regna il bianco. Due piccoli divani e due poltrone di fronte al camino sono gli unici oggetti d’arredo della camera. L’opera che più colpisce è un’installazione intitolata Trecento, così chiamata poiché riproduce la forma delle edicole votive umbre del 1300. E’ realizzata con fili sottili fissati alla parete che delimitano, seguendo una corretta prospettiva, l’altare dipinto con i tre colori primari: rosso, giallo, blu. Solo cogliendo il punto di vista ottimale, lo spettatore può apprezzare la tridimensionalità. Sul muro di fronte Il canto delle vocali rappresenta una griglia quadrata, composta da 5 riquadri per 5, in cui ogni vocale è formata da linee, da 1 a 5, con colori sempre diversi.
Infine, all’ultimo piano, si accede alla camera da letto e i colori si fanno più intensi. Qui Bryan ha dipinto finestre e aperture, sempre mediante il sistema di fili fissati a parete, per esaudire il desiderio della moglie di poter godere del suggestivo paesaggio umbro, sebbene la casa non abbia aperture con vista. Anche il bagno è coloratissimo, i decori ricordano i cerchi del Paradiso dantesco.
Questa stanza è tutta un omaggio alla moglie con la rappresentazione dei quattro momenti che scandiscono la giornata: la Notte, a fianco della finestra, l’Alba, a destra della porta del bagno, la Mattina a sinistra del letto e il Mezzogiorno, sul letto. Proprio quest’ultimo dipinto risponde alla suggestione di scorgere il mare all’orizzonte sotto un cielo blu cobalto. Su entrambi i lati del lavoro ci sono le sagome dell’artista e della moglie.
FONTI
www.artribune.com/turismo/2016/03/painted-house-brian-odoherty-todi/
www.frieze.com/article/i-am-now-saint-brian-odoherty-turns-90
Primo Piano:
Secondo piano:
Terzo piano: