foto: Toi, la rapide, la zigzagante, 1980
Vedere le incisioni di Jean Pierre Velly sembra suggerire predecessori come Bosch, Dürer, Bresdin; Schongauer, Rembrandt, Seghers. Eppure Velly è nato nel 1943 e lavora negli anni ’70 e ’80 con tecniche quanto mai lontane dai suoi contemporanei: il disegno a china, l’incisione, l’acquerello. Un disadattato e poi un nascosto, che si ritirerà nella campagna romana dove vivrà in armonia con la sua famiglia. La dedizione all’arte è un voto, l’incisione è il linguaggio più povero, ottenuto da un sacrificio: “A lungo mi sono costretto a questa ascèsi, rifiutando ogni artificio”. Il suo lavoro solitario e introspettivo verrà interrotto solo dalla sua morte, improvvisa, misteriosa, acquatica: “la vita è una storia meravigliosa, che finisce terribilmente male”.
L’Istituto centrale della grafica, in collaborazione con l’Accademia delle Belle Arti, presenta per la prima volta a Roma una retrospettiva dell’artista bretone, dopo l’ultima grande mostra a Villa Medici del 1993. Nella sede di Palazzo Poli sono state esposte circa una quarantina di opere, quasi tutte provenienti da collezioni private (Barilla, Olivetti, Moravia). Il percorso è densissimo, anche se breve; l’arte di Velly raffinatissima e piena, se non di colore di segni, si presenta nella sua completa varietà. Il mondo in cui si muove l’artista è oscuro, di immersione verso l’abisso. I paesaggi sono immaginati, fantastici, in cui piccole cose (fiori, insetti, rami secchi) sono guardati al microscopio in un’analisi quasi ossessiva e sprofondata nel dettaglio. In questa osservazione c’è la meraviglia, tassonomica ma anche visionaria, che parte dalle piccole cose della natura per arrivare a grandi visioni cosmiche e scenari apocalittici.
La prima sala è quella della Nigredo e allude allo stadio della trasformazione della materia: sono esposti i suoi autoritratti e i ritratti della moglie. La seconda sala, Albedo, rimanda alla purificazione della materia e ospita il nucleo di acquerelli e i disegni a punta d’argento, con la serie dei fiori morti e il Bestiaire perdu. La terza sala, Rubedo, raccoglie i dipinti. L’allestimento è curato per dare l’impressione di un passaggio, le prime incisioni più melanconiche e piene lasciano spazio poi agli acquerelli, vaghi e luminosi, dei quali colpisce in modo particolare la serie Bestiario perduto, in cui “Velly denuncia il martirio inutile di questi animali innocenti, odiati e cacciati dall’uomo”.
E’ normale che a la mostra si svolga nella sede dell’Istituto grafica: Velly era soprattutto un disegnatore e incisore, che poi si interessò anche all’acquerello e all’olio. Nel 1966, con l’incisione Clef des Songes, vince il Premier Grand Prix de Rome, proprio negli anni in cui Villa Medici era guidata da Balthus, suo estimatore. Si ferma quindi in Italia, da cui non si muoverà più, andando a vivere a Formello, vicino Roma, dove si può dedicare in tranquillità alla sua arte. Gli anni ’70 non sono un periodo facile per gli artisti tradizionali, a Roma però il gallerista Giuliano de Marsanich gli offre la possibilità di esporre molto spesso e presto l’artista diventa noto e apprezzato da critici importanti come J. Leymarie, A. Moravia, M. Praz, L. Sciascia, V. Sgarbi, F. Simongini, G. Soavi, R. Tassi, M. Volpi.
Si dedica a due serie molto importanti: dal 1978 Velly fa i primi saggi di pittura ad acquerello in Velly pour Corbière, omaggio al poeta maledetto suo conterraneo, con l’introduzione di Leonardo Sciascia. Nel 1980 è la volta di Bestiaire perdu, presentato da Alberto Moravia e Jean Leymarie, una serie di “ritratti su carta”. Nell’ultimo decennio si dedica prevalentemente alla pittura, con la magnifica serie di tavole floreali ideate per il calendario Olivetti del 1986; e i dipinti di paesaggio, tra cui Après, Grande paesaggio, Grand coucher du soleil, Grande bourrasque. Nel 1980 Mario Praz introduce il catalogo ragionato delle incisioni di Velly, compilato da Didier Bodart e pubblicato da Scheiwiller. La sua attività viene interrotta bruscamente dalla sua morte, avvenuta in modo misterioso nel 1990, in un incidente di barca sul lago di Bracciano.
Jean-Pierre Velly: L’Ombra e la Luce
Roma, Istituto centrale per la grafica, Palazzo Poli
22 marzo – 15 maggio 2016
martedì – domenica ore 10.00 – 19.00
www.grafica.beniculturali.it
INGRESSO LIBERO
Autoritratto, 1988
Olio su tela incollata su tavola
Vase de fleurs, 1974-83Maternité au chat, 1967 Rosa au soleil, 1968
Etude d’arbre III, 1988
Lange et linceul (dettaglio), 1973
Etude pour le “Bestiare perdu”, 1978