Ogni labirinto ha un centro sacro. Simbolo di perdizione pieno di inganni, così come era quello del Minotauro, il Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci è invece un Eden, poiché al suo centro ha la cappella consacrata, che assicura salvazione.
Quando parlai di Franco Maria Ricci su questo blog erano tempi non sospetti, il labirinto era ancora in fase di progetto. Col tempo il sogno è diventato realtà: aperto il 29 maggio 2015, il labirinto si configura come il punto di arrivo di una ricerca verso l’arte e il bello che l’editore parmense ha inseguito durante tutta la sua vita. Esteta prima di tutto, editore, designer, collezionista d’arte, bibliofilo, Ricci ha concepito il suo labirinto come un luogo in cui il tempo scorre lento: un insieme di ricordi, quelli della sua vita, e una raccolta di meraviglie, per coloro che lo visitano. Per costruirlo ha venduto la sua storica casa editrice FMR, tanto famosa negli anni ’80 per la grafica unica e per la qualità dei suoi articoli. Si ritira sottraendosi alla mondanità, passando anni in silenzio e dedicandosi con estrema devozione alla costruzione del suo giardino meraviglioso.
Il Labirinto
Disteso su otto ettari di terreno, da lui progettato con gli architetti Pier Carlo Bontempi che ha eseguito gli edifici, e Davide Dutto, che ha progettato la geometria del parco e che per Franco Maria Ricci aveva curato un volume con le ricostruzioni virtuali del Giardino di Polifilo, Ricci lo ha collocato a Fontanellato, nella campagna vicino Parma, onorando così le sue origini. La scelta del bambù è eccentrica e ha un qualcosa di delicato: non solo perché è sempreverde, non si ammala e assorbe grandi quantità d’anidride carbonica. E’ una pianta leggera, flessuosa, di eleganza riservata e orientale. Su suggerimento di un giardiniere giapponese, Ricci ne piantò qualcuno nel suo giardinetto milanese e se ne innamorò subito, solo anni dopo gli venne l’idea di usarla per il labirinto. Andò a prenderla in Francia: “dove scoprii un luogo meraviglioso: la Bambouseraie d’Anduze. Si tratta di un vivaio, che è anche un parco molto visitato; fu fondato a metà dell’Ottocento e ospita circa 200 specie diverse di bambù, alcune capaci di raggiungere i quindici metri, altre non più di mezzo metro. È la più grande piantagione esistente in Europa. Forse nemmeno in Oriente esiste qualcosa del genere.”
Il Labirinto della Masone assume così un sapore sottilmente orientale, di giapponese ha la serenità del distacco, l’astrazione. Le origini sono però classiche e si rintracciano nel giardino rinascimentale italiano, come quello di Villa Lante a Bagnaia, il Giardino dei Boboli a Firenze, il labirinto di Villa Giusti a Verona, quello di Villa Pisani a Stra, sebbene quello di Ricci sia teocentrico quindi cristiano, riconducendo tutto alla presenza di Dio.
Questo labirinto rappresenta per colui che lo ha costruito prima di tutto una promessa, fatta nel 1977 al suo amico, lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, affascinato da sempre da questo simbolo; un lascito, ultima grande opera di Ricci che rende così fruibile a tutti le opere d’arte che per anni ha collezionato; infine una speranza, quella di creare un luogo d’elezione, un buen retiro dal mondo che rimarrà oltre la sua morte: “Molte cose potranno accadere nel mio labirinto. Cose che non posso prevedere. Per esempio, un ragazzo potrà incontrare una ragazza o innamorarsi di un dipinto o di un libro… Apparterrà a una nuova generazione, bella e intelligente, che io non riuscirò a vedere. A volte ci fantastico su” [1].
La collezione d’arte
All’interno del labirinto e la cui sacralità è pari a quella della cappella, c’è il museo, che espone la collezione d’arte. Si tratta di oltre 500 opere di altissimo valore, fra pitture, sculture e oggetti d’arte dal ‘500 al ‘900 (un percorso davvero eclettico, da Bernini, Carracci, Hayez, a Wildt, Erté). Ultimo grande collezionista tra i viventi, Ricci ne parla descrivendola come “una sorta di Wunderkammer che, inevitabilmente, rispecchia me stesso, il mio gusto e indirettamente, attraverso certe assenze, i miei rifiuti.” Non potrebbe essere altrimenti, per un uomo del novecento che si perde nelle suggestioni: “non sarà quello casuale di una quadreria, né quello scientifico di un museo; procederà per associazioni (d’idee e di forme)”.
Le stanze presentano diverse epoche: il Settecento e l’era dei Lumi, quindi di Bodoni, è rappresentata dalle opere di Houdon, Lemoyne, Caffiéri, Boudard, Collot, Chinard e dai busti della famiglia Bonaparte, firmati Bosio, Bartolini, Ceracchi, Fontana, Thorvaldsen, Chaudet. Sono presenti poi i manieristi (Ludovico Carracci, Girolamo Mazzola Bedoli, Luca Cambiaso) e la grande scultura del Seicento (Bernini, Foggini, Merlini), con un occhio di riguardo agli artisti legati agli anni d’oro del ducato di Parma (Julien de Parme, Boudard, Baldrighi, Ferrari, Petitot).
Due sono le stanze che più colpiscono il visitatore e che costituiscono, a mio dire, i due estremi della collezione: la stanza delle vanitas espone nature morte con teschio, spesso granghignolesche, qualche volta opera di artisti famosi come Jacopo Ligozzi, ma soprattutto opere bizzarre, da camera delle meraviglie come cere, miniature, mascherine mostruose, denti di narvalo e un’intera parete dedicata a teschi dipinti o teste mozzate di Giovanni Battista.
Alla cupezza di questa stanza funge da opposto quella dedicata al Novecento, invasa dalle ballerine di Demetre Chiparus, vezzose e volteggianti statuine crisoelefantine piene di grazia decò, che ben si abbinano ai disegni di Erté. Esposte anche opere di Mario Dante Zoi, Adolfo Wildt, Corcos, Savinio, Libero Andreotti. Su una parete la sottilissima e indecifrabile follia grafica di Luigi Serafini, nelle prime pagine del Codex Seraphinianus.
Mostre e altri spazi
Oltre la collezione permanente, il labirinto ospiterà di volta in volta mostre temporanee. Al momento della mia visita (settembre 2015) la mostra corrente era “Arte e Follia”, curata da Vittorio Sgarbi, con le opere di Antonio Ligabue e Pietro Ghizzardi, entrambi pittori padani poco conosciuti.
Il primo, Ligabue, detto anche il Van Gogh della Pianura Padana, è principalmente esposto con i suoi autoritratti, smorfie di dolore e alienazione, e con gli animali, simboli della ferocia della lotta per la vita. Pittore dai tratti naif, vissuto tra continui internamenti nelle cliniche psichiatriche, trova nell’arte l’unico modo di esprimersi.
Ghizzardi sembra essere monomaniaco: in mostra sono presenti solo ritratti di donna tutti dello stesso formato. In realtà sperimentò anche la grafica, il murales e la scultura, fu pittore naif e anche scrittore. Vede nell’arte una regressione ad un linguaggio pre-codificato, una fuga dalla civiltà moderna, dunque una dimensione più libera, verace. Per questo scrive in dialetto, la sua biografia “Mi richordo anchora” (Einaudi, 1976) vinse inaspettatamente il Premio Viareggio per la narrativa nel 1977.
Entrambi “hanno conosciuto la marginalità sociale, le difficoltà dell’esclusione e della povertà, la modestia di una formazione e di un bagaglio culturale che li obbligava a cercare in se stessi i motivi per un’iconografia che ricostruisse il loro mondo fantastico, permettesse loro di comunicare con gli altri, raccontare le emozioni più profonde ed autentiche. Entrambi hanno quindi creato un linguaggio artistico assolutamente personale, al di là ed al di fuori di scuole, di maestri e di modelli” [2].
All’interno del labirinto ci sarà anche una biblioteca, che conterrà l’intera collezione di volumi stampati da Bodoni: oltre 1.200 volumi con preziosissime legature, raccolti negli anni da Ricci. Inoltre saranno esposte tutte le sue edizioni e quelle di un altro importante esponente della bibliofilia italiana, Alberto Tallone. Non si trascurano nemmeno i primati gastronomici locali e nazionali, valorizzati dagli spazi di ristoro, di altissima qualità, come il ristorante e il bistrò-caffetteria.
Tra i progetti di quest’anno anche la riedizione della bellissima rivista FMR.
Sito ufficiale: labirintofrancomariaricci.it
[1] Silvia Bia in Il Foglio, 25 maggio 2015
[2] Arte e Follia Antonio Ligabue, Pietro Ghizzardi
il labirinto dall’alto
il bambù
la jaguar d’epoca di Franco Maria Ricci Ricci ritratto insieme all’architetto Pier Carlo Bontempi
La collezione d’arte: La stanza del Novecento: La stanza delle vanitas:
Antonio Ligabue: Pietro Ghizzardi: