Casa Museo di Palazzo d’Arco, Mantova

Dove: Piazza Carlo d’Arco, 4
Orari: Lun 9.30 -13.00; Mar 14.30 – 18.00; da Merc a Dom 9.30 – 13.00 e 14.30 – 18.00 
Sito: museodarcomantova.it

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Palazzo d’Arco è l’unica casa museo di Mantova. Divenne tale quando l’ultima proprietaria, Giovanna d’Arco Chieppio Ardizzoni, poi marchesa Guidi di Bagno, decise che alla sua morte avrebbe lasciato tutto alla città. Era il 1973 e questa donna d’altri tempi, figlia illegittima del Conte Antonio, dopo un matrimonio infelice e senza figli, volle eternare per sempre l’amore per la sua famiglia, e soprattutto per suo padre, trasformando la sua casa in un museo. 

La famiglia d’Arco nel ‘700

Di nobile origine trentina, i d’Arco finiscono in possesso del palazzo di Mantova per una serie di motivi ereditari: l’ultimo proprietario, Scipione Chieppio, aveva l’obbligo testamentario di lasciare tutto al primogenito di sua sorella Teresa, in caso di morte senza eredi,  cosa che avvenne nel 1740.

Teresa Chieppio aveva spostato, infatti, Francesco Alberto d’Arco e così loro figlio Francesco Eugenio ereditò i beni della madre nel 1740, decidendo poco dopo di stabilirsi a Mantova assieme a sua moglie Teresa Ardizzoni di Pomà. Fu Francesco Eugenio ad accogliere Leopold e Wolfgang Amadeus Mozart in occasione della loro visita a Mantova del 1769, durante la quale fu inaugurato il teatro Bibiena. 
A Francesco Eugenio seguì Giambattista Gherardo, e siamo ormai nel secolo dei lumi. Fu lui a volere la renovatio del palazzo di famiglia nella solenne veste neoclassica studiata da Antonio Colonna nel 1783. La famiglia d’Arco si era via via affermata a Mantova e il figlio, Francesco Alberto, fu studioso, politico ed economista e divenne anche podestà.

La famiglia d’Arco nell’800

I figli di Francesco Alberto divennero tutti molto noti: Carlo era un artista, studioso d’arte e ricercatore, collezionista di opere d’arte e documenti, tanto che a lui si deve l’istituzione del Museo Civico; Luigi fu un naturalista molto conosciuto per la sua epoca e diede origine al museo di famiglia che oggi si trova esposto nella Seconda Palazzina già Dalla Valle. Sposò Giovanna de’ Capitani d’Arzago dalla quale ebbe Francesco Antonio Gerolamo.

Infine Francesco Antonio, l’ultimo maschio della casata che ricevette in gioventù un’ottima educazione e arrivò a diventare il sottosegretario agli esteri con Rudinì (1891) e senatore del Regno dal 1896. Fu lui ad ampliare il palazzo acquistando, nel 1872 dai marchesi Dalla Valle, il palazzo ed il giardino collocati oltre l’esedra, raggiungendo così l’attuale, complessiva estensione di ottomila metri quadrati. Sua figlia Giovanna (nata il 5 novembre 1880) sarà l’ultima proprietaria del palazzo. 

La Fondazione e il museo

Nel Novecento i danni dei bombardamenti non risparmiarono il palazzo, che venne restaurato tra gli anni 1946 e 1960. La contessa Giovanna d’Arco Chieppio Ardizzoni, poi marchesa Guidi di Bagno, sposò nel 1905 il marchese Leopoldo di Bagno (Roma 1875-Rimini 1931) e fu l’ultima esponente dei d’Arco. La coppia non ebbe eredi e ben presto vedova, dedicò completamente la sua vita ai propri interessi culturali e alla città di Mantova.

Dopo aver arricchito le collezioni del palazzo e dopo aver ricoperto numerosissime e prestigiose cariche civili e rappresentative, la marchesa si spense il 30 settembre 1973, lasciando alla “sua” Mantova il palazzo di famiglia con tutte le sue collezioni. Sua volontà fu quella di mantenere la disposizione data agli oggetti da lei e dalla dama di compagnia Jole Belladelli.
Con lei si estinse uno dei due rami della famiglia d’Arco, l’altro infatti continua in Baviera.

La collezione naturalistica

Museo dentro il museo è la collezione naturalistica del Conte Luigi d’Arco (1795-1872), esposta in mostra “Diario di Viaggio. Luigi d’Arco e i naturalisti dell’800” in corso dal 6 settembre 2020 al 10 gennaio 2021. Il conte si interessò a molti ambiti della natura: botanica, malacologia, geologia, paleontologia, osteologia, ornitologia ed entomologia. Non pubblicò mai i risultati delle sue ricerche, eccetto rari casi, ma la sua eterogenea collezione è rimasta integra e conservata fino ad oggi, riunita in un vero e proprio Gabinetto naturalistico; la Biblioteca e l’Archivio del palazzo conservano i suoi libri di storia naturale e il prezioso fondo (AFLA) di taccuini, di appunti e della corrispondenza.

Pur non essendo un accademico, il Conte si distinse divenendo un punto di riferimento per i naturalisti ottocenteschi dell’area lombarda e non solo. Alberto de Bracht, Giorgio Jan, Paolo Barbieri, Francesco Masè e soprattutto il suo collega nonché discepolo prediletto, Enrico Paglia non sono che alcuni nomi tra tanti. Le lettere, conservate in biblioteca, raccontano minuziosamente il reperimento degli animali attraverso appostamenti e vere e proprie battute di caccia o storie di amicizia tra cacciatori naturalisti che condividevano conoscenze ed esemplari a beneficio della ricerca. Le vicende del conte si intrecciano con quelle di Giogio Jan e dei fratelli milanesi Ernesto ed Ercole Turati. Il palco di Alces alces, eposto nella Sala di Seth, gli fu chiesto in prestito da Emilio Cornalia, direttore del Museo di Storia Naturale di Milano, per la monumentale pubblicazione sulla paleontologia lombarda di Antonio Stoppani. 

La mostra permette di vedere in esposizione nel percorso museale molti degli esemplari della collezione che sono spesso sotto vetrina o, come nel caso degli erbari, impossibili da vedere a causa della loro fragilità. 

 

Giardino e ingresso:

La carrozza, un brougham appartenuta alla famiglia d’Arco, accoglie i visitatori nell’atrio di ingresso del Palazzo, carica di bagagli e pronta a condurli nel viaggio ottocentesco, fatto di lentezza, di soste e di pazienza.  la serra

PIANO NOBILE
Sala degli Antenati: 

La sala degli antenati prende il nome dai 60 ritratti raffiguranti vari personaggi della famiglia d’Arco, collocati nella fascia più alta. I ritratti sono stati eseguiti in un lasso temporale compreso tra il Cinquecento e la metà del Settecento ed in origine erano collocati nel castello di Arco. Al di sotto dei dipinti e del fregio, si trovano ampi pannelli a grisaille riportanti copie di stucchi provenienti da Palazzo Te.

Insieme ad alcuni strumenti di spedizione, come diari e guide, bussola e macchina fotografica del conte Antonio, sono stati esposti anche un esemplare giovanile, lungo circa 130 cm, di Coccodrillo del Nilo (Crocodylus niloticus), che è uno degli storici 4 coccodrilli impagliati attualmente presenti in Musei e luoghi di culto del Mantovano (da ricordare in particolare quello presente al Liceo Virgilio, donato alla scuola da Giuseppe Acerbi intorno al 1830 e quello al Santuario di Santa Maria delle Grazie a Curtatone); uno di Tartaruga marina della specie Caretta caretta e un Phoenicopterus ruber.  

Sala delle prospettive architettoniche:

Il nome della stanza deriva dalle tele raffiguranti vedute prospettiche inserite all’interno di cornici dipinte sulle pareti. Dell’arredo ricordiamo i quattro divani en bateau, il leggio doppio da quartetto, un cassettone intarsiato settecentesco e la splendida scrivania a ribalta (sempre settecentesca) sulla quale è collocato un completo per la scrittura ottocentesco in legno e bronzo. Notevoli anche le ceramiche, sia quelle cinesi, sia il piatto da parata datato 1742.

Salottino dei ritratti:

Sono qui esposti una serie di ritratti databili tra il Cinquecento e la metà dell’Ottocento. Tra questi anche un ritratto di Teresa Ardizzoni, moglie di Francesco Eugenio. 

Sala delle Nature Morte:

Questo ambiente era in realtà una camera da letto, che aveva un’appendice nella loggetta e nell’attuale Sala da Musica. Alle pareti ci sono decine di dipinti, soprattutto nature morte o scene di genere. Il tavolo al centro dell’ambiente (originariamente collocato nella Sala di Diana) è coperto da un magnifico broccato con fili metallici della seconda metà del Settecento, al quale è sovrapposta la tovaglia. Questa presenta, come pure i tovaglioli, il monogramma del conte Antonio d’Arco. Allo stesso modo le iniziali di Antonio d’Arco compaiono sul servizio Ginori. Le posate sono le classiche “San Marco”, mentre al tardo Settecento risalgono i bicchieri decorati.

Loggetta:

In origine era una piccola stanza da letto, ora invece accoglie varie sculture, tra le quali una vasca in marmo da fontana, opera rinascimentale del tardo Quattrocento e probabilmente proveniente dal palazzo gonzaghesco di Marmirolo, distrutto nel Settecento.

Sala della Musica:

L’ambiente che oggi appare come Sala da Musica, adorno com’è di strumenti antichi (ma molti di più ve ne erano in passato, poi collocati per ragioni di conservazione, nelle vetrinette della Sala degli Antenati), era originariamente una toeletta. Splendido è l’arredamento, le tappezzerie, le sedie e le specchiere Impero. Nell’ambiente si vedono inoltre un’arpa inglese di inizio Ottocento ed un bel grammofono milanese degli anni Trenta. Al centro della stanza sul pavimento è un prezioso tappeto cinese ottocentesco. 

Sala di Diana o di Psiche:

Oggi è una sala da esposizione, ma in origine era una delle sale da pranzo del palazzo e accoglieva la tavola imbandita ora collocata nella Sala delle Nature Morte.
Il nome dell’ambiente deriva dalla figurazione al centro della volta, con Diana su una biga di cervi. Alle pareti oggi sono numerosissimi dipinti (in prevalenza seicenteschi), alcuni di gran pregio. È interessante notare che diversi dipinti qui esposti erano già presenti nelle collezioni Chieppio.

Sala Rossa:

L’ambiente aristocratico è datato alla metà dell’Ottocento e il nome deriva dalla tappezzeria in damasco di seta rosso. Tutti gli arredi, in stile tardo vittoriano, furono eseguiti a Londra nel 1874 per il conte Francesco Antonio d’Arco, in ebano nero con applicazioni in bronzo dorato. I dipinti sono per la grandissima parte ritratti di personaggi della famiglia d’Arco: dal conte Francesco Antonio d’Arco (che ha voluto questo ambiente e che è effigiato nella tela al centro della parete occidentale e in una alla parete opposta), a Giovanna d’Arco (sua è la fotografia collocata sullo stipo alla parete orientale).
E ancora, alla parete settentrionale, ai lati della specchiera, sono i ritratti di Luigi d’Arco e della moglie Giovanna de’ Capitani d’Arzago (suo è l’abito da viaggio in lana scozzese collocato sul manichino, ora in biblioteca). Sotto il ritratto di Luigi d’Arco è quello del fratello Carlo.

Sala di Pallade:

Prende il nome dalla figura della Sapienza collocata nel tondo centrale del magnifico soffitto a lacunari. Accanto a lei, nei quattro angoli, sono quattro effigi di letterati del passato: Socrate (simbolo della filosofia greca), Omero (della poesia greca), Virgilio (della poesia latina) e Ariosto (della poesia italiana). L’ambiente era lo studio del conte Antonio d’Arco. Ora la sala raccoglie parte della quadreria, con particolare attenzione ai ritratti, risalenti prevalentemente tra il Cinquecento ed il Settecento.

Tra i dipinti ricordiamo quelli di interesse mantovano, tra cui lo splendido Ritratto del duca Vincenzo I Gonzaga (il duca indossa l’armatura con il “sic”, regge il bastone del comando e sotto la gorgiera ostenta il toson d’oro del quale era stato insignito da Filippo II nel 1588); il Ritratto di Baldesar Castiglione (copia antica dell’originale di Raffaello ora al Louvre), il Ritratto del conte Annibale Chieppio e lo splendido Ritratto di gentiluomo (di Luigi Miradori detto il Genovesino), vestito secondo una colorata foggia spagnoleggiante. 

La Sala di Pallade ospitava lo studio personale di Gianbattista Gherardo d’Arco: era la camera del diletto e della meditazione dove il conte conservava la sua collezione di libri e probabilmente tutta quella serie di oggetti naturalistici che affascinano uomini colti e curiosi. Qui, tra le meraviglie della natura, si annoverano i pesci pietrificati estratti dalle cave di Bolca nel veronese, che attirarono l’attenzione di studiosi, filosofi, letterati e aristocratici. Forse proprio questi reperti fossili raccolti dal nonno fecero sbocciare in Luigi la passione per la paleontologia e le Scienze Naturali. 

Sala della Giustizia (o di Themis):

L’ambiente è detto “della Giustizia” a causa del dipinto che orna lo scomparto centrale del soffitto: la dea Themis, reggente bilance e spada, incoronata da un amorino mentre una figura femminile è in atto di supplicarla. Le pareti sono ricoperte dalla caratteristica tappezzeria verde. 
Anche questa sala presenta una significativa mostra di dipinti antichi, che comprende il sontuoso Ritratto di Ferdinando Carlo Gonzaga (attribuito al pittore seicentesco fiammingo Frans Geffels). Per quanto riguarda il mobilio, assai curioso è il cosiddetto “Armadio degli eremiti” risalente al 1623, recante numerose immagini dipinte di eremiti in preghiera. 
I cappelli e gli altri oggetti di abbigliamento femminile sono quelli appartenuti a Giovanna d’Arco. 

Sala dei religiosi:

E’ il vero cuore della pinacoteca e accoglie il nucleo maggiore dei dipinti di soggetto religioso. Numerosissimi i dipinti presenti, tra i quali ricordiamo un Cristo portacroce, opera del primissimo Cinquecento già attribuita al pittore emiliano Giovan Francesco Maineri, una Flagellazione di Cristo, attribuita a Lorenzo Costa il Giovane,

Passetto dei reliquari:

Sono qui collocate le reliquie di famiglia, soprattutto nella cassapanca trentina intagliata e dipinta (secolo XVII o XVIII) e collocata al centro del passetto. Accanto al guscio di tartaruga decorato all’interno con l’immagine di una Madonna con Bambino, ci sono sono le reliquie di Santa Teresa, Santa Caterina da Bologna, di Sant’Anna, della Terra Santa e della croce di San Pietro. Il vano, assai piccolo, è l’ultimo dell’appartamento con pavimento in parquet.

BIBLIOTECA:

Splendida è l’architettura e la decorazione neoclassica, ritmata sulle pareti da quattro nicchie (due per ogni parete principale) contenenti grandi vasi in gesso eseguiti negli anni Cinquanta del Novecento. Quello sulla parete occidentale raffigura lo Stemma della famiglia d’Arco ed è accompagnato dal motto A magnis maxima (dai grandi [hanno origine] i massimi avvenimenti). Nel clipeo alla parete orientale è invece la raffigurazione del Castello di Arco, come appariva prima delle grandi demolizioni settecentesche avvenute nel 1703 con il generale Vendôme e alla fine del secolo con Napoleone.

Prima di essere destinata a biblioteca la sala era probabilmente una sala da pranzo. Oggi contiene oltre 10.000 volumi del fondo antico, tra i quali 15 incunaboli, 500 cinquecentine, 15 manoscritti. È presente l’intera Enciclopedie ou dictionnaire raisonnè des sciences, des arts et des metiers di Didierot e D’Alembert, tutta l’opera scientifica di Ulisse Aldrovandi, la descrizione dei paesi del Guicciardini e l’erbario del Mattioli (solo per citare i più noti). Poi ancora 275 volumi tra stampe, disegni antichi e l’ippologia; un migliaio tra fotografie e diapositive, 384 buste con documenti d’archivio, la raccolta “Gardani” di pergamene (un centinaio tra XIV e XVII sec.) e la raccolta di manoscritti legata al museo di Scienze naturali. 

Sala Andreas Hofer:

La sala è dedicata all’eroe della Val Passiria, detto “il general barbon”. Proprio in Palazzo d’Arco (probabilmente nel Salone degli Antenati il 19 febbraio 1810) si tenne la riunione del tribunale napoleonico che lo condannò alla fucilazione (decisa dall’imperatore), eseguita il giorno successivo sugli spalti di Cittadella, in un prato sulla destra di Porta Giulia.

Oggi la sala è un salotto, ma precedentemente era una camera da letto ed è adorna di carte da parati tratte dalla serie delle vedute d’Italia di Dufour e Leroy, su disegno di Prévost (1823). Si tratta di panoramiche in grisaille che rappresentano Amalfi, il Vesuvio, navi all’ancora, cascate, rovine antiche e sono state restaurate nel 1988 dall’Opificio delle Pietre dure di Firenze. 

Cucina:

Risale all’ottocento ed è un piacevole, piccolo ambiente dove fanno sfoggio utensili e forme di rame, ottone e peltro. Sopra il fornello sono appesi una serie di modelli per torte e budini, alcuni dei quali risalenti alla seconda metà del Seicento. Sull’antico tavolo in abete, al centro, troneggia un samovar russo.

 PRIMA PALAZZINA già DALLA VALLE

Questa palazzina del tardo Quattrocento, così come l’altro edificio adiacente (Seconda palazzina già Dalla Valle), fu acquistata insieme al giardino, dal conte Francesco Antonio d’Arco dal precedente proprietario, il marchese dalla Valle, nel 1872. 

Sala dei Cesari:

Oltre un cancello in ferro battuto e un’ampia vetrata, si trova la Sala dei Cesari, chiamata così per le undici tele dei Cesari appese su tre pareti, copie di quelle che Federico II Gonzaga commissionò a Tiziano nel 1536. Alla parete più lunga, di fronte al camino, si trova appeso l’albero genealogico della famiglia Agnelli di Mantova (ma forse anche di quella di Torino).

Nel grande armadio sono collocati gli erbari del conte Luigi: si tratta complessivamente di 148 pacchi, ma sono ispezionabili solo 59, restaurati nel 1995 e che, già ad una prima analisi, rivelano un’opera non costituita da un corpo unico ma compilata a più mani e in più riprese. Sono distinguibili una sezione di flora italica e da una di flora mantovana, che risulta di grande interesse storico e scientifico, perché permette di ricostruire zone del territorio oggi completamente scomparse.  In occasione della mostra “Diario di Viaggio. Luigi d’Arco e i naturalisti dell’800” sono stati esposti alcuni fogli. 

Sala dello Zodiaco:

La sala dello zodiaco si trova alla sommità della ripida scala che porta al primo piano della palazzina. Deve il suo nome al ciclo di affreschi che ricoprono le pareti: si tratta di pitture a tema zodiacale in cui ogni segno presiede alle diverse attività dei mesi. Sullo sfondo di ogni riquadro il pittore ha raffigurato un mito classico o una pagina di storia antica e un’architettura di epoca romana o bizantina realmente esistente alla sua epoca; sono state riconosciute architetture di Roma, Ravenna, Verona e Fano.

La vicenda dell’opera rimane ad oggi ancora poco conosciuta: non sono documentati infatti né il nome dell’artista, né il committente, né il tempo dei lavori. Soprattutto molte delle storie e delle simbologie rimangono ancora poco chiare. Gli studi più recenti hanno identificato l’autore con il pittore di origine veronese Giovanni Maria Falconetto, che avrebbe realizzato l’opera verso il 1520.

Il ciclo è uno straordinario  esempio di quella cultura astrologica che a Mantova si trova espressa anche nello Zodiaco dell’orologio astronomico-astrologico, nello Zodiaco del Castello, nella Camera dei Venti di Palazzo Te, nello Zodiaco di Palazzo Ducale e nel Ciclo dei figli dei pianeti di Palazzo Freddi. 

il camino è stato aggiunto nel XVII secolo, distruggendo così l’originale decorazione del segno della Bilancia
Sagittario (torre degli Schiavi a Roma) e Capricorno (Mausoleo di Adriano a Roma) Cancro (Colosseo) dettaglio del segno dei GemelliToro (Arco di Augusto a Fano)

SECONDA PALAZZINA già DALLA VALLE

Questa seconda palazzina, anch’essa quattrocentesca, era la parte del più imponente Palazzo Dalla Valle che, in origine, era appartenuto ai discendenti di Feltrino Gonzaga. Oggi è utilizzata per esporre le collezioni naturalistiche del conte Luigi d’Arco. 

Camera di Apollo (Sala per Ricevere):

La Sala di Apollo oggi si presenta nella foggia neoclassica che ha obliterato quasi completamente la decorazione cinquecentesca. Rimane la fascia affrescata, raffigurante agli angoli dei telamoni che reggono l’architrave superiore. Più sotto c’è la decorazione neoclassica che ha come fulcro i medaglioni a grisaille collocati al di sopra delle porte (comprese le due murate verso oriente).

L’arredo è della prima metà dell’Ottocento: entrando nella sala, di particolare pregio e interesse si rivela la collezione ornitologica, restaurata nel 1995, che annovera un rilevante numero di specie italiane, molte delle quali diffuse anche nel territorio mantovano e in qualche caso oggi rare (come il Tarabuso, Botaurus stellaris) 

Camera di Seth :

Si chiama così perché sotto il bel soffitto a cassettoni, compare il fregio con le storie della famiglia Seth, interrotte sulla parete orientale ed occidentale da due stemmi gonzagheschi.
Qui è conservata la collezione paleontologica d’Arco che conta in totale all’incirca 5.000 pezzi, provenienti dalle zone che all’epoca potevano essere geograficamente più accessibili da Mantova, come il Veronese, il Piacentino, il basso Piemontese, la Toscana.

Sono esposte nelle vetrine storiche alcuni tra i pezzi più significativi della collezione, sia da un punto di vista estetico, sia per importanza scientifica, fra i quali spiccano alcuni esemplari di Pesci eocenici dell’alta Val d’Alpone (Bolca – VR) e due imponenti palchi fossili: uno di Megaloceros giganteus e l’altro di Alces alces.

Si aggiunge la collezione malacologica, che conta circa 5000 esemplari, conservata negli armadi con vetrina e nelle cassettiere originali, collocati dentro scatoline in cartone recanti il nome manoscritto.


Aesthete. Art historian & blogger. Content creator and storyteller. Fond of real and virtual wunderkammer. Founder and main author of rocaille.it.

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