Egon Schiele, Reclining Nude
Lettera a un conoscente sulla censura dell’arte moderna
di Massimiliano Mocchia di Coggiola
A-t-on oublié que l’art dans un certain nombre de civilisations ne s’est jamais regardé que par le biais d’une attention libre, flottante, vagabonde et liée à l’imagination ou à des sens non réduits à leur fonction ? Sans doute, cette attention est-elle de plus en plus rare dans un monde converti à la consommation et aux messages triviaux des images publicitaires ou télévisuelles. Peut-être cette attention disparaîtra-t-elle et l’art avec.
Il n’en restera pas moins des existences, les œuvres d’art que des institutions, des collectifs, des individus voudront continuer à montrer et à protéger. Et ce n’est pas rien. Les œuvres d’art sont des existences fragiles et à ce titre précieuses.
[ Ci siamo dunque dimenticati che l’arte, per molte delle civiltà che conosciamo, è sempre stata vista attraverso la lente di un’attenzione libera, fluttuante, vagabonda, e legata all’immaginazione o a dei sensi non esclusivamente ridotti alla loro funzione principale? Senza dubbio, quest’attenzione diventa sempre più rara in un mondo convertito alla consumazione e ai messaggi triviali delle immagini pubblicitarie o televisive. Forse che questo genere di visione dell’arte scomparirà e, con lei, l’arte stessa.
Tuttavia esisteranno ancora quelle opere d’arte che le delle istituzioni, dei collettivi, degli individui vorranno continuare a mostrare e a proteggere. E non è poco. Le opere d’arte sono esistenze fragili e, in quanto tali, preziose. ]
Fabienne Brugère, in « Liberation » del 21 Dicembre 2017.
Il Nudo sdraiato di Modigliani (1917) esposto da Christie’s durante la vendita record del 2015.
Caro signore,
In questi ultimi tempi mi sento abbastanza inquieto. Sarà che il gran dio Pan è morto, ma anche io mi sento poco bene.
Stordito dalla bestia dalle mille teste #MeeToo , ho avuto qualche problema di salute constatando che quest’ondata di moralismo aggressivo, per quanto giusto e a volte perfino salutare in ambito sociale, non pago del terreno di caccia assegnatogli dal buon senso, stia tentando di soddisfare la sua brama di sangue nel mondo dell’Arte. Il processo ai fetecchioni che reclamano sesso in cambio di riuscita (e tuttavia caro signore, anche lei sa che loro, questi fetecchioni, hanno dovuto riuscire prima!, per poi avere sesso) inizia a risultare noioso, per cui ci si mette a sospettare anche gli artisti.
Alcuni registi cinematografici (lui, lui e qualcun’altro ancora) sono già caduti sotto la scure del boia, e molti altri seguiranno. Perché nessuno è immune dalla mano morta, nessuno non ha mai fatto un pensierino su Lolita leggendo Nabokov. Nella stessa vena, pensiamo alla Carmen di Bizet , il cui finale è stato recentemente ribaltato (Carmen uccide Don José ) in una messa in scena fatta nella tradizionalmente castigata e politically correct città di Firenze .
Ma la bestia non conosce confini: sicché è entrata pure nei musei, divorando le tele dei Maestri morti. Impossibilitati a difendersi, chi assicurerà la loro difesa nel processo alle opere d’arte?
Ricapitoliamo i sospettati (i presunti colpevoli, secondo la bestia) e i crimini di cui sono accusati:
– Balthus, pseudonimo di Balthasar Kłossowski de Rola (1908-2001). Una petizione ha tentato di far staccare dal muro del MoMa la sua tela Teresa che sogna. Questa, come molte altre, rappresenta una bambina preadolescente e i suoi sogni erotici. Tuttavia Teresa, a differenza di molte altre ragazzine di Balthus, porta le mutandine. “Romanticizza il voyeurismo e la sessualizzazione di una bambina”, sostengono le oltre 8mila firme raccolte (chissà come). Balthus venne varie volte sospettato, in vita, di avere tendenze pedofile, ma non venne mai accusato formalmente da nessuno. Nessuno. Eppure di tempo per farlo condannare ce ne sarebbe stato, visto che morì a quasi cent’anni! “Io non dipingo il sogno, dipingo la sognatrice” spiegava Balthus. Ma pochi sembrano capire il senso di quest’affermazione…
Teresa che sogna, 1938.
– Egon Schiele (1890-1918). La città di Vienna, per il centenario della sua morte, ha organizzato una retrospettiva. Per pubblicizzarla ha mandato dei manifesti già pronti in molte città del mondo, ma la metropolitana di Londra ha avuto qualche problema con i nudi di Schiele, forse un po’ troppo espressivi, proponendo di pixelare i genitali. Il museo di Vienna rimandò allora gli stessi manifesti con un altro tipo di censura, migliorata (le foto qui sotto). Si noti che nel 1912 Egon Schiele era stato incarcerato per oltraggio alla morale. Durante il processo venne scagionato da ogni accusa, salvo quella di aver esposto “disegni osceni”: e un suo dipinto venne bruciato in pubblico per ordine della magistratura.
I manifesti censurati da Vienna nella metropolitana di Londra.
– Paul Gauguin (1848-1903). Un film sulla vita del pittore ha recentemente aperto il dibattito. L’accusa è, pure per lui, di essere un pedofilo. Sappiamo che convisse con una ragazza thaitiana di 13 anni, soggetto di alcune delle sue tele più felici, le quali diventerebbero “immorali” poiché illustrazioni di un rapporto perverso. A nulla sembrano valere le parole del biografo Stéphane Guégan: « Dopo essere stato celebrato come l’incarnazione eroica di tutte le libertà, di tutte le marginalità e di ogni lotta sociale, grosso modo fino all’indomani del ’68, la tendenza si è poi invertita sotto la pressione degli studi postcoloniali e femministi. Dal reame del Bene, è brutalmente caduto nell’inferno del Male. Notiamo che i suoi detrattori più arrabbiati, uomini e donne, non hanno sempre una conoscenza esatta della sua vita e delle sue opere, cosa che risulta un po’ imbarazzante quando ci si erige a giudici e che si confonde, con anacronismo e ideologia, la comprensione del passato e la sua condanna con criteri di oggi […] Circa le giovani tahitiane, Gauguin si era lasciato andare alle abitudini dell’isola, dove si diventava donna interamente, maternità compresa, a partire dall’età di 13 anni ».
Lo spirito dei morti veglia, 1892.
La modella è la tahitiana compagna di Gauguin, una ragazzina di 13 anni.
– John William Waterhouse (1949-1917). Un sacrificio all’Idra dei #MeeToo: la conservatrice del museo d’arte moderna di Manchester ha fatto deporre Ila e le ninfe. Malgrado i miei sforzi, caro signore, non sono riuscito a trovare niente di osceno in quest’opera, un po’ pomposa, di Waterhouse. Di più essa rappresenta Ila (notoriamente omosessuale) poco prima di farsi rapire dalle ninfe, le quali lo desiderano selvaggiamente e finiranno per annegarlo nel fiume. Lungi dal rappresentare un potere fallocratico, almeno una delle tante letture che potrebbero essere date del dipinto dovrebbe piuttosto farlo rivalutare dalle femministe. Qualche giorno dopo il fattaccio, il museo ha dichiarato che si tratterebbe di una “performance artistica” di un’ignota artista contemporanea, la quale farà una mostra al museo nei prossimi tempi. Opinabile pubblicità o opinabile performance?
Ila e le ninfe, 1896.
Speriamo che la purga si fermi qui! Mio caro signore, se ha ancora due minuti vorrei esporle il mio punto di vista, e provare a farle capire perché, secondo me, questo processo è degno della barbarie di Robespierre ma non della civiltà progredita alla quale mi pregio di appartenere. Ecco qualche errore commesso da questi giudici così facili a condannare. Errori che in sé recano sconforto alle Muse, certo, ma che messi tutti insieme rappresentano tutti una certa maniera di pensare che credevo non esistesse ormai più e che, a tratti, mi spaventa.
1- L’IDEA, DA PARTE DEL PUBBLICO, CHE LE ISTITUZIONI DEBBANO RAPPRESENTARE LE IDEE DOMINANTI IN FATTO DI MORALE.
Ma dal momento che le dittature politiche sono fuori moda i musei fanno ancora quel che gli sembra giusto. Tuttavia i vegani della morale dimenticano a che cosa serve un museo: uno scrigno che custodisce i frutti delle arti umane, scelti non seguendo le mode bensi una logica di conservazione impermeabile ai cambiamenti relativi agli eventi della cronaca; un rispetto delle tradizioni artistiche che dovrebbe rimanere immutato.
In pratica però, le scelte dipendono dalle idee dei direttori o dei curatori.
I primi sono persone chiamate dalle istituzioni a dirigere un museo, hanno esperienza nel settore dell’arte ma anche della gestione degli affari, e spesso sono versati in politica e mondanità. I secondi sono un prodotto scolastico più contemporaneo, e (salvo alcuni casi) non sono figure a carattere istituzionale : il loro lavoro è spesso pagato “a cottimo”, per questo i curatori sono spesso affamati di pubblicità gratuita. Sono spesso museologi, critici d’arte, artisti, a volte addirittura personaggi televisivi.
La scelta di nascondere Ila e le ninfe al museo di Manchester è stata fatta dalla curatrice in collaborazione con un’artista per « provocare il dibattito » invitando i visitatori a dire la loro con dei post-it. La maggior parte deplorano il gesto censorio giudicandolo ridicolo e pericoloso.
Parallelamente, il direttore del Metropolitan di New York non ha invece ceduto al ricatto della raccolta firme indetta da una pruriginosa signora, finalizzata a far nascondere una tela di Balthus rappresentante Teresa che sogna (un sogno evidentemente erotico). Al di là del fatto che negare la rappresentazione della sessualità dei bambini era già cretino ai tempi di Freud – avere un’opinione bacchettona su di un’opera d’arte, per quanto triste, è permesso ; ma chiedere di celarla alla vista del pubblico è davvero un atto immorale e fascista.
Esposizione “Arte degenerata”, Monaco, 1937. Venne organizzata dal regime nazista per umiliare pubblicamente gli artisti delle avanguardie.
2- CHE IL SOLO FATTO DI POTER ESPRIMERE LA PROPRIA OPINIONE SU QUALSIASI COSA IN FORMA SCRITTA, DIA IL POTERE ALLA QUANTITÀ DI ESPRIMERE PARERI SULLA QUALITÀ.
Il fatto è che nell’epoca delle immagini usa-e-getta, l’arte è vista dalla gente priva(ta?) di educazione artistica come ad una pubblicità o ad una « meme », o ad un profilo Instagram.
Nonostante si viva in un’epoca in cui si legge sempre meno, il potere della parola scritta è ancora molto forte, anche quando espressa in maniera effimera (come sui social o sui post-it del museo di Manchester). Si giunge così al nocciolo della questione : scrivere al mondo la propria opinione è diventato facile – il che non è un male in sé ; il paradosso è che il mondo recepisce le opinioni scritte con la stessa serietà e attenzione come se queste fossero parole stampate. Democrazia 2.0 o cortocircuito del sistema?
Si ricorda dei libri, caro signore ? Dei prodotti rari che vengono da un’epoca in cui scrivere al mondo la propria opinione era difficile, e dunque riuscire a stampare le proprie idee equivaleva ad un traguardo, a meritarsi un auditorio attento nonché il diritto di considerare la propria voce un po’ più valida rispetto a quella degli altri. Oggi tutti possono scrivere la loro opinione senza pensarci troppo, dacché è così facile farlo e così soddisfacente mostrarla agli altri! Ma quanti, dietro il loro schermo, credono davvero a quello che leggono? Eh beh… quasi tutti purtroppo.
Felix Gonzales-Torres, Portrait of Ross in L.A., 1991.
Esempio dell’arte relazionale, l’artista invita i visitatori a aggiungere o mangiare le caramelle dell’installazione.
3- IL PROBLEMA DELLA PROPAGANDA DELL’ARTE CONTEMPORANEA.
Certe persone, troppe, prendono ad avvicinarsi all’arte moderna senza il rispetto dovuto all’idea di Arte e al concetto di Storia. Ci si avvicina a Balthus o a Schiele come se fossero Cattelan : il discorso populista di certe istituzioni incoraggia il popolo a « partecipare » all’opera, a toccarla, a criticarla, a prenderne un pezzo o a aggiungerne un altro, e la gente finisce per confondere e travisare i ruoli. Che il pubblico critichi violentemente, arrivando perfino a distruggere, un’opera d’arte, è una reazione normale quando l’opera d’arte attaccata è contemporanea e racconta cose e fatti a noi contemporanei (la gente vandalizzò molte opere di Man Ray e di Duchamp durante le esposizioni Dada), ma profondamente stupida se applicata ad un’opera che andrebbe rispettata in quanto prodotto artistico appartenente al passato. Un altro fattore da tenere in considerazione è che una critica estetica viene di norma accettata (specialmente quando la critica viene da una persona “del settore”), mentre è raro che una critica a carattere politico o morale trovi un’autentica validità o legittimità. In questo, Hitler si dimostra miglior critico d’arte rispetto ai mass-media odierni, scrupolosamente attenti alla pretesa “opinione pubblica”.
Grazie alla propaganda dell’arte contemporanea, la gente considera l’artista alla stregua di un avvocato, di un giocatore di pallanuoto, o di un conduttore di pullman: un essere umano normale che fa « il suo lavoro ». Senza voler arrivare alle vette del ridicolo wagneriano, amerei far notare che affrescare la cappella Sistina non è roba che si impara alla scuola serale, per così dire.
4- L’IGNORANZA.
Il politically correct è il nuovo vitello d’oro.
La pruderie anglosassone è la prima a soddisfarsene: americani e inglesi sono di tradizione prude quanto protestante. Chi si ricorda delle immagni del Nudo sdraiato di Modigliani, venduto all’asta nel 2015 per una cifra record , e censurato da alcuni media ?
A San Paulo, il museo d’arte moderna ha organizzato una mostra sulla « Storia della sessualità », il cui ingresso era stato vietato ai minori di 18 anni dopo certe pressioni esercitate dal locale partito di destra cattolico. Tra le altre oscenità esposte a San Paulo v’era una ballerina in bronzo di Degas (quella con il tutù in tulle), la Danseuse de 14 ans, anche lei oramai catalogata come oscena agli occhi di tutta una parte dei visitatori della mostra.
Degas, La petite danseuse de 14 ans. 1879-1881.
Come con Gauguin, i giudici sembrano dimenticare che stiamo parlando di epoche simili alla nostra, ma nel profondo così lontane e diverse… Giudicare e condannare atti del passato con i metodi di pensiero odierni? Pare una castroneria, eppure è quello che capita in questo ambito oggi. È quello che hanno fatto i talebani nei loro nuovi territori: le statue di Buddah urtavano la loro sensibilità, ma proprio tanto.
I nostri facili giudici dimenticano anche qual è il ruolo dell’arte, e quale fu quello dell’arte moderna: liberare le coscienze, porre domande scomode, dare risposte violente, scoprire ferite imbarazzanti. Senza l’arte, il Novecento sarebbe stato burino.
Il Financial Times censurava (e così la televisione americana) il nudo disteso di Modigliani del 1917.
Il discorso, i dibattiti, le competizioni agonistiche, e le macerie lasciate dalla campagna di liberazione/diffamazione dei #MeeToo ha reso ancora più evidente una delle nuove nevrosi del nuovo millennio : il politicamente corretto ovvero, la paura invereconda di offendere il prossimo, di urtarne la sensibilità.
Purtroppo si sta dimenticando che l’arte, specie se appartenente al passato (e se fatta da artisti che non possono più difendersi o giustificarsi, dacché tutti gli artisti attaccati sono defunti) dovrebbe gioire di una libertà d’espressione superiore a quella dei curatori “femministi” (uso le virgolette perché il vero femminismo è ben altro) o delle madame baciapile.
Se gli artisti avessero paura di urtare la sensibilità del pubblico non ci sarebbe arte, e perfino i disegni delle grotte di Lascaux dovrebbero essere cancellati per non urtare la sensibilità di Brigitte Bardot. Dovremmo forse tornare ai temi del Braghettone, il pittore che ricopriva di foglie e fiori i genitali della cappella Sistina, improvvisamente divenuti osceni? O lodare l’ignoto intrigante che ha fatto celare le Veneri capitoline durante la visita del presidente dell’Iran a Roma?
Insomma, caro signore, mettitelo bene in testa : la libertà dell’Arte non si esaurisce là dove comincia la tua ridicola, inutile e oscena sensibilità.
Waterhouse, Il martirio di Santa Eulalia, 1885.
Qui ci starebbe bene una riflessione su quanto la società sia cambiata rispetto agli inizi del XX secolo, e su quanto si sia aperta rispetto ad allora. O forse toccherebbe fare un altro tipo di riflessione, qualcosa sull’inestinguibilità dei perbenisti, dei moralisti, dei fobici. Qualcosa su quanto il concetto di “progresso” sia fallace e illusorio, dacché inventato di sana pianta nel ‘700.
Amerei invece concludere con una frase rassicurante:
“Si censura soltanto ciò di cui si teme la forza, che sia espressiva, sociale o politica – ha spiegato al Figaro Thomas Schlesser, direttore della fondazione Hartung-Bergman di Antibes e professore all’École polytechnique – è quindi l’occasione per ricordare che gli artisti prendevano dei rischi per l’emancipazione delle coscienze. Paradossalmente, provo un piccolo piacere quando vedo queste censure: gli oggetti che ne sono vittima, spesso accantonati nel passato e apparentemente inoffensivi, riprendono all’improvviso il loro vero significato”.
Alexandra Levasseur, Censure cosmique, 2015.
P.S.: Nel momento in cui spedisco questa lettera, trovo che per l’ennesima volta Facebook ha censurato un’opera d’arte prendendola per mera pornografia. La sede del social ha affermato che è colpa dell’algoritmo, dacché al secondo controllo, fatto da un essere umano, il Rodin è passato (senza mille scuse). Un algoritmo a salvaguardia della nostra decenza? Questo è il futuro. On n’arrête pas le progrès…
1 Commento a “Sulla censura dell’arte moderna”
l’ignoranza umilia e mortifica l’arte
(..che dire dei mutandoni applicati agli affreschi della cappello Sistina )
“il cibo per la mente” fa paura.. le “dittature politiche o morali” dominano e crescono sull’ignoranza