Comtesse di Castiglione as Elvira, 1863-67
“La cosa che amo di più al mondo è la mia libertà.”
C. Castiglione
“…come quella Contessa Castiglione
bellissima, di cui si favoleggia.
Allo sfiorire della sua stagione,
disparve al mondo, sigillò le porte
della dimora e ne restò prigione.
sola col Tempo, tra le stoffe smorte,
attese gli anni senz’amici senza
specchi, celando al popolo, alla Corte
l’onta suprema della decadenza…”
Guido Gozzano
Tra la notte del 28 e il 29 novembre del 1899 moriva la Contessa di Castiglione. Accadeva esattamente 113 anni fa. Colei che è stata definita di volta in volta come “l’amante dell’imperatore”, “l’Imperatrice senza impero”, “la più bella donna d’Europa”, “dea dell’Ottocento”, “ambasciatrice di Cavour” e anche “vulva d’oro” e che Massimo d’Azeglio chiamava Nicchia, non è un personaggio che si può dire simpatico. Molto è stato scritto su di lei, sarebbe inutile quindi da parte mia voler riassumere le sua storia in poche righe. In occasione del suo anniversario di morte, però, voglio ricordarne l’eccentricità, che forse la distinse da altre nobildonne della sua epoca. Questo personaggio, a cui la Marchesa Casati deve certamente molto, non può infatti racchiudersi unicamente nelle trame della Storia, ma rientra a tutti gli effetti nella schiera di persone che fecero della stravaganza la loro espressione.
Ma chi era questa donna che, con intuito surrealista, si fa fotografare mentre guarda da un occhiello? Ammirazione doveva riscuoterne sin da viva e le sue eccentricità attirarono subito l’attenzione di uno come Robert de Montesquiou che, all’asta dei suoi beni dopo la morte, acquistò molti suoi cimeli che poi passeranno alla Marchesa Casati, quando questa comprerà la sua casa a Le Vesinet. Fu proprio Montesquiou a interessarsi per primo alla Castiglione, a cui dedicò un libro di poesia La Divine Comtesse : Étude d’après Madame de Castiglione, pubblicato nel 1913 e mai più ristampato. Uscì in 200 esemplari di cui 25 in carta imperiale del Giappone, la prefazione era firmata Gabriele d’Annunzio il quale vi scrisse “darei la maggior parte dei suoi ritratti troppo numerosi e troppo diversi, per conoscere il timbro della sua voce”.
picture sources: theredlist.fr; forum.alexanderpalace.org
Scherzo di follia, 1860’s
La santa
La Contessa di Castiglione aveva molte manie, che si accentueranno drasticamente in vecchiaia. Era maniaca anche per le sue lettere, che richiedeva sempre gli fossero rimandate indietro, allo scopo di conservarle. Era assillata dalla sua immagine in maniera morbosa e cercò di conservarla in tutti i modi intatta, attraverso le centinaia di ritratti fotografici che si fece scattare nel corso di tutta la sua vita e fino a pochi giorni prima della morte. Due sono gli album che ad oggi sono stati ritrovati: uno al Museo Nazionale del Risorgimento di Torino, dove tutt’oggi si trova, donato dagli eredi di Costantino Nigra tra il 1911-39. Si presume fosse un album per uso privato data l’assenza di nome, date e nome del fotografo. L’altro è al Metropolitan Museum e contiene 289 foto provenienti dall’atelier di Herbert Mayer e Pierson, allora molto famosi e suoi fotografi personali.
I ritratti rispondono alla sua vanità più eccentrica: vestita con lussuosissimi abiti, molti dei quali erano diventati famosi per essere stati indossati nelle feste con Napoleone. Si atteggiava ora a Regina d’Etruria, ora a Regina di Cuori, sfociando in atteggiamenti feticisti, come la fissa di farsi fotografare i piedi, se non addirittura folli, impersonando una suora di clausura. Prende così sul serio questa esibizione da coinvolgervi anche il figlio piccolo, Giorgio, che veste però da femmina. Donava poi queste immagini ai suoi amanti, ma faceva molto di più: addirittura si faceva fare dei calchi in gesso dei piedi o delle mani, anch’essi con lo scopo di donarli, così come le reliquie di un santo. La sua immagine era preziosa, per lei sacra a tal punto da farne dono solo a chi riteneva alla sua altezza. E non erano in molti.
Minuit, 1863-66
L’Extase, 1860’s
Queen of hearts costume, 1861-63
L’Ancre, 1860’s
L’Accoudée, 1856-7
1861-67
La Cape, 1860’s
the Comtesse as a Marquise XVIII, watercolor on monochrome
L’ambasciatrice: “Per nascita uguale, per bellezza la supero, per intelligenza la giudico”
Nata come Virginia Oldoini a Firenze, nel 1837, da una famiglia ricca e nobile è subito vezzeggiata, viziata e adulata per la sua bellezza fuori norma. Quando sposa il Conte Francesco Verasis di Castiglione ha solo 16 anni. Capricciosa, petulante e altera, si trasferisce con lui a Torino dove inizia a frequentare la corte Savoia. Il Conte di Cavour, primo ministro nonché suo cugino, nota subito la sua intelligenza e spregiudicatezza e non ci pensa due volte ad assumerla come “ambasciatrice galante” alla corte francese. Allo statista trafficone Cavour serve un qualcosa in più per “perorare” la causa italiana nei prossimi trattati di pace, in vista di un’alleanza con la Francia per la liberazione del Lombardo-Veneto dalla dominazione austriaca. Cavour le dice “usate tutti i mezzi che vi pare, ma riuscite” e così Nicchia e suo marito, l’ignaro Verasis, partono per Parigi nel gennaio del 1856.
Fu così che Virginia divenne l’amante dell’imperatore, che del resto era famoso per le scappatelle extraconiugali. Acquista presso di lui incredibile credito se, come era noto, Napoleone si stancava presto dei suoi flirt. La Castiglione non solo aveva le attenzioni dell’imperatore di Francia e del re Vittorio Emanuele II, che seguiva da vicino la tattica di Cavour, ma lo faceva in modo nemmeno troppo riservato. Come le piaceva ostentare la sua bellezza, così voleva ostentare il suo potere. Immaginiamo quanto doveva essere odiata dalle altre dame di corte, con le quali non aveva rapporti, e soprattutto da Eugenia di Montjio, la moglie di Napoleone e per la quale Virginia aveva coniato il motto “Per nascita uguale, per bellezza la supero, per intelligenza la giudico”. Fu proprio lei ad organizzare un agguato all’imperatore, in cui ci scappò il morto, mentre lui si recava dalla Castiglione come di consueto. Nonostante pubblicamente fu diffusa la versione dell’attentato politico, Virginia sapeva bene che era stata “la spagnola” e lo aveva fatto unicamente per farla allontanare. Di fatti lo scandalo che scoppiò lasciò poche alternative a Virginia che, per sfuggire al decreto di espulsione, nel 1857 abbandona Parigi.
Roses, 1860’s
Roses, 1860’s
Roses, 1860’s
painted photograph, 1860’s
Sunday, 1860’s
1861-7
La politica: “Io sono io e me ne vanto”
Dopo l’allontanamento da Parigi, alterna periodi di frenetici viaggi alla quiete più claustrale. Tutta la vita della Castiglione gira intorno a quel periodo che va dal ballo di Compiegné del 1856 allo scandalo di Napoleone nel 1857. Due anni di splendore che per lei resteranno sempre memorabili e mai più si ripeteranno. Il periodo precedente fu attesa, quello dopo nostalgia. Quando se ne va da Parigi scrive a Cavour “ho appena cominciato a vivere e il mio compito è già finito”. Avrà poi raggiunto il suo scopo? Benché il governo italiano e anche francese cercheranno sempre di sminuire la sua azione riducendola ad una mera tattica da letto, non sappiamo quanto l’influenza intima che ebbe su Napoleone avesse potuto fargli considerare veramente di caldeggiare la questione italiana. Cosa che poi comunque avvenne. Ad ogni modo lei lo prese sul serio questo incarico, tanto da dire esagerando “ho fatto l’Italia”, ma se pensiamo che le sue lettere private furono bruciate appena dopo la sua morte, non si può negare che qualche ruolo importante tra gli intrighi lo abbia avuto.
In tutta la vita cercherà di tornare nella posizione da cui era stata cacciata, nel pieno della Francia del secondo impero che invece vedrà decadere da lontano. Per tutta la vita cercherà di ritornare agli allori come quando era stata amante di Napoleone, essendo prima amante di Vittorio Emanuele II e poi del duca di Aumale che tenta di rimettere sul trono francese. In realtà non conoscerà mai più quell’ebbrezza di essere al centro della Storia ed è così sicura di questo che se fosse arrivata in Francia prima, dice, “non una spagnola, ma una italiana avrebbe regnato sulle Tuileries”. Di certo ha più senso tattico della sua rivale: sarà infatti Eugenia a spingere per la guerra di conquista in Messico, scelta sbagliatissima che contribuirà solo ad indebolire la Francia e a offrire il fianco alla nascente Prussia di Bismarck.
Ma perché Nicchia fu così detestata da Eugenia? Napoleone aveva sempre avuto molte amanti, più o meno nascoste, eppure la Castiglione è l’unica che la moglie cerca di allontanare e questo già prima che si scoprissero le sue mire politiche (Eugenia era fortemente anti italiana). Quello che di Virginia era insopportabile era l’atteggiamento spavaldamente sicuro: si poneva come alternativa all’imperatrice, sicura che sarebbe potuta essere lei al suo posto se sua madre “non l’avesse inchiodata a Castiglione”. Lei non solo mirava alto, ma lo faceva sfacciatamente e si sa che “il trionfo altrui appare sopportabile solo quando è vestito di discrezione”. Una fiera e intelligente come lei aveva capito, ma non attuato, quel sistema di diplomazia con le altre dame per farsi benvolere, almeno a parole. Voleva essere l’unica, non sopportava il quieto vivere e a questo, semmai, preferiva l’odio. Il suo contrario è la Waleska, che riesce in un’impresa in cui la Castiglione non può: essere amante dell’imperatore e migliore amica dell’imperatrice. Ma la falsità non è per Nicchia, che scrisse: “Io sono io e me ne vanto. non voglio niente dalle altre e per le altre. Io valgo molto più di loro. Riconosco che posso non sembrare buona dato il mio carattere fiero, franco, libero, che mi fa essere talvolta dura e cruda. Così qualcuno mi detesta, ma ciò non mi importa, non ci tengo a piacere a tutti”.
Le dos, 1895 ca
Le chapeau à plumes, 1860’s
Le pardessus décore, 1860’s
on the beach at Dieppe, end of XIX
1860’s
Funerale, 1860’s
dressed as a Carmelite Nun, 1863
L’eremita: “Mi sono sempre sentita fuoriposto dappertutto”
Dopo Parigi si reca in Inghilterra, poi il resto sarà tutto un andirivieni tra Francia e Italia. Ma nelle sue scorrerie sceglie tre luoghi per il suo eremitaggio: Villa Gloria, Passy e Dieppe. Si ostina in questi lunghi distacchi dal mondo, come una monaca, dai quali però segue benissimo tutte le vicende. A Villa Gloria, vicino Torino, si ritira dopo esser tornata dall’Inghilterra. Freme per tornare a Parigi, ma è ancora troppo impopolare presso la corte. Scrive, scrive a tutti i suoi amici in Francia per sapere se Napoleone la richiede, la cerca, ma in realtà Napoleone non l’ha più cercata: era stata un capriccio che gli era costato anche abbastanza caro. E’ qui che la andrà a trovare Henri d’Ideville, nel 1860, che ne rimane turbato ed è a lui che dice: “Mi sono sempre sentita fuoriposto dappertutto. Non mi sento bene se non quando sono accanto a esseri superiori oppure in mezzo a gente semplice e primitiva. I vecchi barcaioli della Spezia mi adorano! Quando vivevo in città sono stata giudicata altera e superba con i miei uguali, o meglio, con quelli che le leggi sociali mi hanno costretto a trattare come tali. Ho fatto sforzi per mitigare la mia fierezza, perché mio malgrado, la compagnia della maggior parte degli uomini e delle donne che sono generalmente considerati distinti e intelligenti mi fa provare una stanchezza e un disgusto che assomigliano, stranamente, ad un disprezzo sovrano.”
A Dieppe fa passeggiate sul mare, le ricordano La Spezia e passeggia per cimiteri. Durante queste clausure porta con sé il figlio Giorgio, altrimenti lasciato al padre. A Passy si trasferisce nel 1860, nel tentativo di farsi più vicina a Parigi. Si fa malinconica, pensierosa, prega.
hermit of Passy
La Reine d’Etrurie, 1863-67
Pied de Judith, 1860’s
Les Jambes, 1860’s
Comtesse as Ermine and her son, 1860’s
La donna: “Ogni donna ha il dovere di essere bella”
Gli amanti che Nicchia colleziona nella sua vita non sono nemmeno elencabili. Basti pensare che tra i nomi ci sono ovviamente Napoleone III, Vittorio Emanuele II, Costantino Nigra, Gerolamo Bonaparte, il principe Poniatowski, il duca d’Aumale, il duca de Morny, il barone Rothschild, Ambrogio Doria e i suoi fratelli e moltissimi altri, ma sopratutto, molti contemporaneamente. Si dice che nei suoi diari annotasse le preferenze sessuali di ognuno e registrava, con un codice segreto, tutte le attività amorose che con loro faceva. In tutto ciò il povero marito, che lei chiamava Bocco, ne era all’oscuro prima e poi sempre più cosciente, incapace di imporsi, una volta le scrisse “se dovete proprio farmi le corna, che almeno non si vedano troppo”. Si riassume con questa frase il carattere di Verasis, che in fondo era un debole e come tale Nicchia non lo sopportava.
Nel vorticoso cambiamento di amanti, da cui di volta in volta ottiene favori o denaro, per nulla celando i suoi scopi e in questo in tutto e per tutto uguale alle cortigiane sue contemporanee, basa il suo potere, giocando proprio su questi fitti rapporti personalissimi. Non si può dire che disprezzasse gli uomini, per qualcuno pianse anche, ma sapeva sempre tenere a mente i suoi obiettivi principali: sa bene che se non trova l’uomo giusto, tanto vale che le sia utile. Soprattutto sa bene come irretirli, almeno fino ad ottenere ciò che vuole e dice infatti: “ogni donna ha il dovere di essere bella, non per se, ma per gli altri. Per sé invece deve essere ambiziosa, astuta e agguerrita”.
Fu una delle primissime a capire l’importanza del vestito e della moda: commissiona ai più famosi sarti dell’epoca come Paquin e Doucet e poi Worth, lanciato da Eugenia e che lei impudentemente assume, degli abiti di uno sfarzo inaudito, alcuni anche con fili d’oro. Ogni capriccio della moda era stato il suo e molti ne aveva lanciati lei stessa: l’uso del color magenta, le piume, le giarrettiere preziose con ricamati motti piccanti e soprattutto la biancheria intima in seta o raso nero, subito adottata da tutte. A questa abbinava le lenzuola nere, ma anche verdi o violetto (suo colore preferito). Tutti aspettano con ansia quale sarebbe stato il suo costume nelle feste: una volta si presentò vestita da cigno, indossando un abito fatto di sola calzamaglia trasparente con applicate piume bianche. Una volta si vestì da Lucrezia Borgia avendo in mano una fiala in cui, anziché veleno, c’era profumo. Era stata lei a dare l’idea di organizzare un gran ballo in stile veneziano; una volta si vestì da Regina di Cuori con tutti ex voto a forma di cuore sul vestito. Quando Eugenia era incinta e nessuna dama osava vestirsi scollata, lei si presentò con un vestito completamente trasparente. Ma quando una sera, su invito della Contessa de La Pagerie, avrebbe dovuto apparire su un palcoscenico e tutti la aspettavano svestita, lei apparve vestita da suora.
Le yeux mirés, 1863-66
Giorgio, her son
the Comtesse with her son, 1859
at table with bottles, 1861-7
La Taille, 1860’s
La profeta: “L’Impero…Che epoca!”
Il grande rientro alla corte francese di Virginia avverrà solo nel 1863, dopo la seconda guerra d’indipendenza italiana, dopo la proclamazione del Regno d’Italia e ad un passo dallo scoppio della guerra della Francia contro il Messico. Le feste, la mondanità, le spese folli, Nicchia sente che tutto ciò sta passando e in fondo, adesso, le è venuto anche a noia. Di lì a poco, nel 1870, finirà per sempre il regno di Napoleone III e con lui l’epoca dorata e magnifica della quale la Contessa era stata l’idolo. Si allontana lentamente da questo mondo, di cui intuisce la fine e in cui ormai sempre più donne e più giovani fanno le sue stesse cose (Cora Pearl, Valtesse de la Bigne, Marguerite Bellanger etc). I luoghi non sono più i balli di corte, Compiegne, le Tuileries, ma i caffè, gli hotel. La borghesia ha preso il posto della nobiltà.
Si reca a La Spezia, poi a Firenze, ma la nostalgia per Parigi è più forte. E’ ostile alla repubblica da poco istaurata (anche se si scrive fittamente con Thiers), odia tutto e tutti, detesta soprattutto questa nuova società che non le appartiene. Spera che i discendenti orleanisti riprendano il trono in “in questa terrorizzante di fine secolo, in cui non resta che lasciarsi prendere e impiccare… Lo avevo predetto già sotto l’Impero…Che epoca! Hanno tagliato gli alberi degli Invalides per costruire una stazione, non è un delitto?”. Niente è più come prima, scrive al suo caro amico Estancelin: “i principi sono passati di moda, mio caro”.
Alcuni amici di prima sono in ristrettezze, come Poniatowsky, gli amanti si sono sposati. Iniziano una serie di morti premonitrici: nel ‘65 il duca de Morny, nel ‘67 suo marito Francesco, per un tragi-comico incidente, nel ‘73 Napoleone III, nel ’74 Poniatowski, nel ‘78 Vittorio Emanuele II ed infine nel ‘ 79 suo figlio, a soli 25 anni. E’ questa forse la morte che la tocca di più. Ha soli 40 anni, ma si crede vecchia, decrepita. Decide di ritirarsi da tutto.
Decide di finire i suoi giorni in solitudine e si ritira in un appartamento a Place Vendome, dove resterà fino alla morte. Del resto per una che pensa la vita come “15 anni di infanzia, 15 anni di giovinezza”, dopo i 30 anni non resta che ritirarsi e rinunciare ai piaceri. Vive in una casa da cui non esce mai, circondata da oggetti, ventagli, lettere, toilette, abiti, tutti collezionati con estrema cura. Li guarda per ricordarsi, vive di fantasmi e vive di cose morte, quasi nessuno è ammesso alla sua casa, “scrivere è la mia sola consolazione”. Si dimentica le proprietà, gli oggetti che tiene nascosti (verrà ritrovato molto dopo la sua morte un baule contenente lettere) ha la mania di ritenersi povera (e non lo è, considerata la rendita che gli versa Umberto I e i Rothschild, senza contare tutti i gioielli) ma come può, una che ha vissuto al massimo del lusso, accontentarsi anche di poco meno?
L’algérienne, 1860’s
Les chiens, 1860’s
Les chiens, 1860’s
La morte: “Voglio essere al centro del mio passato”
Gli ultimi anni di vita della Contessa non solo sono tristi, ma profondamente penosi. Accentua le sue manie, le fobie, tutto per lei nasconde simboli, intrighi. Decide di entrare nel nuovo appartamento il 25 dicembre 1876 a mezzanotte “per entrarvi come Gesù bambino”. Decide così di serrarsi in una volontaria clausura: “voglio essere al centro del mio passato, ferma in ricordi che non hanno futuro”. Veste solo di nero, esce la notte, aumenta le pratiche spiritiche e continua a farsi fotografare, un’occupazione questa che diventa seria ai limiti del ridicolo. Lo sa, lei, di non essere più bellissima, di non riuscire più a imbambolare nessuno, ma alla vanità, a quella non rinuncia. La comprensione profonda della decadenza, non solo della sua storia personale, ma della Storia intesa come situazione politica di cambiamento ineluttabile della società, la rendono silenziosa, nostalgica, rassegnata. Adesso l’impero non esisteva più, né sarebbe più esistito. E’ questa consapevolezza che la rende lucidamente pronta alla morte, adesso per lei tutto è attesa.
Ecco perché prepara attentamente tutta la procedura per quando avverrà la morte. Scrive attentamente il suo testamento: dichiara di non avere eredi né in Italia né in Francia e fa i nomi di coloro che non dovranno considerarsi come eredi. Nessuno dovrà parlare della sua morte, nemmeno i giornali, nessuno è autorizzato a toccare le sue cose, né si potrà seguire il suo corteo funebre. Vuole essere imbalsamata e con lei i suoi cani Sandouga e Kasino, coperti di stoffa pensante blu e viola. Vuole indossare la fatale camicia da notte in seta che indossava a Compiègne nel 1857, al collo la collana di perle e i bracciali e come cuscino quello ricamato da suo figlio Giorgio. Soprattutto non vuole che ci sia nessuna candela, né chiesa, né fiori, né croce, né prete, né medici, né veglia, né eredi, né accompagnatori. Come dice M. Grillandi “fiera del proprio operato e della sicura collocazione nella storia , al di là dei mediocri che le hanno voluto assegnare una parte marginale o nessuna parte addirittura nel farsi dell’Italia, Virginia, tutto negando, tutto rivendica a sé.”
Ma il destino è beffardo. Non solo le sue volontà non saranno rispettate, ma si farà di tutto per cancellarle. Nel testamento Nicchia dimentica di escludere tra gli eredi dei suoi lontani parenti, i Tribone, che per legge erediteranno tutto e lo metteranno subito all’asta, compresa la camicia di Compiégne. Molte sue lettere con l’avvertenza “proibito aprire in caso di morte” verranno bruciate. Contenevano probabilmente autografi di Napoleone III, Cavour, Vittorio Emanuele, Bismarck, Thiers, Pio IX e avrebbero provato la sua presenza nei fatti politici e storici. Si aspettano disposizioni dall’Italia nel caso si voglia ricondurre il feretro dov’era nata, ma si ignora questa richiesta (forse meglio non rievocare i fatti) e fu così che Virginia fu sepolta al Pere Lachaise, dove tutt’ora riposa. Si ricordano di lei due poeti: Montesquiou, che comprerà all’asta la famosa camicia da notte e altri suoi cimeli, e un poeta anonimo, autore dell’epitaffio che termina così:
“E’ un attimo solo. La Morte
Distende il suo negro mantello
E il viso che fu così bello
Conosce l’oltraggio più forte.”
1894-95
Bonnet de polica, 1984
the Comtesse painting potraits of her parents
Luisa Casati dressed as the Comtesse de Castiglione. Drawing by A. Martini, 1925; Costume by Erté for the famous Bal du Grand Prix in 1924.
Castiglione VS Casati
La Marchesa Casati nasce 5 anni dopo la morte della Castiglione. Ammirava molto la Contessa, alla quale dedicò il Ballo del Grand Prix del 1924 in cui si vestì con alcuni suoi cimeli, che aveva ereditato da Montesquiou. Le due però sono molto diverse. La storia di decadenza della Castiglione si differenzia profondamente da quella della Marchesa non solo perché seppe arrivare alla fine dei suoi giorni con buona parte del suo patrimonio, evitando così di passare gli ultimi giorni in uno stato da mendicante. Alla Casati importava solo della sua stravaganza, alla Castiglione importava di molte altre cose. Prima di tutto della sua bellezza. Si dice, infatti, che non riuscì mai ad accettare la sua vecchiaia e fece coprire tutti gli specchi della sua casa. Non accettava veder sfiorire la sua bellezza, ma soprattutto detestava che gli altri la vedessero così. Alla Casati invece, degli altri, non importava nulla. Alla Casati piaceva farsi ritrarre, il suo obiettivo era essere una Musa che, come tale, è silenziosa; alla Castiglione piace farsi fotografare. Il suo campo è la realtà del presente, che annotta dettaglio per dettaglio nei suoi diari. Non sarebbe mai stata capace, Luisa, di annotare minuziosamente ogni giorno ciò che succedeva o faceva. Anche perché non gli sarebbe servito a niente. Non si può leggere nei pensieri della Casati, quelli di Nicchia invece sono ben calcolati e sono tutti nero su bianco. Immersa nel suo tempo, si impone al pari dei protagonisti della storia ai quali aspira, impone la sua voce con tutta la sfacciataggine possibile. Luisa, invece, né è totalmente distaccata e, soprattutto, quanto mai disinteressata. Il suo ideale non è la bellezza, di cui rifiuta i canoni, ma l’unicità, la stravaganza e il bello che per lei è sempre bizzarro. La Casati non considera anzi ignora la realtà quotidiana, ma appare più umana; la Castiglione invece è totalmente indaffarata nella stessa che non si accorge di nessun’altro oltre a lei. Che cosa dunque la Casati amava tanto della Castiglione? Innazitutto la Castiglione è una delle prime donne che imposero la loro stravaganza tramite i vestiti, cosa che per Luisa era fontamentale. Ma ciò che veramente le accumuna è l’ansia di immortalità: l’una tramite la Storia, Luisa tramite l’Arte.
2 Commenti a “Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione”
Scusi ma è errato afferma che la marchesa casati è nata 5 anni dopo la morte della contessa di Castiglione avvenuta nel novembre 1899,la marchesa Casati nacque a milano nel 1881 ,quando la contessa era ancora viva e vegeta
La Contessa non è morta povera ma ancora ricchissima , in quanto ha lasciato una quantità di beni immobili estesa a La Spezia.
Poi non si fa menzione delle 2 ville che la stessa aveva a La Spezia , piene di suoi cimeli, di cui una , Villa La Contessa, ancora esistente e inalterata .
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