Quis contra nos?
motto della Reggenza Italiana del Carnaro
In foto: Sulla cima del mondo. Il romanzo dei ribelli di Fiume di Orlando Donfrancesco e
Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione, di Giordano Bruno Guerri.
Premessa
Lo scorso anno si è celebrato il centenario dell’Impresa di Fiume, un episodio irripetibile e assai importante della storia italiana, recentemente sottoposto ad una giusta rivalutazione. L’occupazione della città da parte di Gabriele d’Annunzio è l’unico caso della storia in cui un poeta si pose a capo di un’impresa militare. Non si tratta dunque solamente di un episodio storico importante, ma va considerata a tutti gli effetti come un’opera di un artista, creazione tra le creazioni del grande Immaginifico (“un’opera con le altrui vite”, la definì).
D’Annunzio soldato fu altrettanto fantasioso del d’Annunzio poeta: esteta anche nella guerra, vedeva nell’impresa grandiosa il gesto bello per arrivare ad una gloria imperitura, ma aveva anche a cuore l’Italia intesa come patria unita. Durante la Prima guerra mondiale non rimase a guardare e non si limitò a scrivere: ultra cinquantenne, decise di arruolarsi volontario e partecipò ad una serie di azioni navali e aeree, come l’eroico volo su Vienna e la ‘Beffa di Buccari’, perdendo anche la vista dell’occhio destro a causa di un incidente.
Finita la sanguinosa guerra, che aveva visto combattere al fronte i cosiddetti “ragazzi del ’99” (giovanissime reclute, appena diciottenni nel 1917, chiamate per riempire i vuoti d’organico dopo la disfatta di Caporetto), ai trattati di pace l’Italia si presentò fra i paesi vittoriosi. Anche se non era prevista, avanzò la richiesta di ottenere Fiume, fino a quel momento sotto l’impero asburgico, visto che la maggioranza della popolazione era italiana e quindi in linea con il principio di autodeterminazione, applicato per gli altri stati nascenti. La richiesta però trovò opposizione, in particolare da parte degli Stati Uniti, per motivi di equilibrio politico: avendo già Trieste, si temeva un’egemonia italiana sull’Adriatico. Si diffuse così molto malcontento per quella che fu chiamata “vittoria mutilata”, espressione coniata da d’Annunzio stesso. Fiume era intanto presidiata da un contingente internazionale, accadde che alcuni soldati italiani, in particolare granatieri, protestarono ed entrarono in contrasto con la commissione interalleata, fino ad arrivare ad uno scontro che causò anche alcuni morti. La situazione si fece incandescente e fu loro ordinato di abbandonare la città.
Alcuni di questi soldati non accettarono l’ordine e si riunirono a Ronchi, in Friuli, (chiamata poi “Ronchi dei legionari”) dove giurarono, al motto di “Fiume o morte”, di portare avanti l’impresa di Fiume italiana. Serviva loro un capo, un uomo simbolo, che avesse il potere di sostenere un’impresa altrimenti impossibile. Inviarono a d’Annunzio una lettera, invitandolo a sostenere la lotta irredentista. Per uno come lui, da sempre tenace sostenitore di una “Grande Italia”, la mancata annessione di Fiume e della Dalmazia erano questioni vitali e decise di accettare. Partì da Venezia, nonostante in quei giorni fosse febbricitante, ed entrò a Fiume il 12 settembre 1919 (La Santa Entrata). Non c’era un progetto preciso, si pensava anzi che tutto si sarebbe concluso abbastanza presto e che il governo italiano, con a capo Nitti, avrebbe finito per accettare l’operazione. L’occupazione invece durò 16 mesi, fino alla tragica repressione avvenuta proprio a mano dei soldati italiani nel cosiddetto Natale di sangue del 1920, quando il governo italiano, su ordine di Giolitti, decise di sgombrare la città con la forza.
Sala delle Reliquie al Vittoriale
Sulla parete in alto a sinistra si può vedere il leone, dipinto da Guido Marussig, che era collocato nello studio di d’Annunzio a Fiume e che venne colpito da una scheggia – ancora lì incastrata – durante il “Natale di sangue”. Sul soffitto di questa stanza d’Annunzio appese il gonfalone della Reggenza italiana del Carnaro.
Fiume, città di vita
Un’impresa militare guidata da un poeta ha tutte le eccentricità che solo un artista può creare; del resto colui che disse di voler “trasformare il cardo bolscevico in rosa d’Italia, Rosa d’Amore” non aveva alcun interesse nella violenza e negli spargimenti di sangue. E’ questa la prima e più evidente eccezionalità dell’impresa (e anche la grande differenza con qualsiasi altra azione fascista): l’entrata a Fiume avvenne senza sparare un colpo e l’occupazione dei mesi a seguire fu essenzialmente pacifica.
Durante i primissimi mesi prevalsero le idee nazionalistiche, ma ben presto Fiume si trasformò in un vero e proprio laboratorio politico, sociale e culturale, una rivoluzione continua in cui si elaborarono idee modernissime e rivoluzionarie, in linea con le avanguardie del tempo. Si combatteva insomma poco o niente e più che altro si facevano progetti, incontri, concerti, feste e balli, senza tralasciare lo sport: innumerevoli furono le iniziative e le gare sportive promosse dal Vate, che inventò in quell’occasione lo scudetto tricolore.
D’Annunzio divenne a tutti gli effetti un capo di stato e si trovò nella posizione di formare un governo. Le sue scelte si diressero verso personaggi sui generis: artisti, pensatori, scrittori o veri e propri eccentrici. Molti di questi personaggi divennero poi famosi, per citarne alcuni: il poeta e musicologo polacco Léon Kochnitzky, che ricoprì la carica di responsabile dell’Ufficio Relazioni Esteriori fu ideatore della “Lega di Fiume”, che avrebbe dovuto riunire tutti i popoli oppressi della terra; il poeta e scrittore giapponese Harukichi Shimoi, che si occupò di mantenere i rapporti tra Fiume e Venezia; lo scrittore statunitense Henry Furst fu ministro della Reggenza Italiana del Carnaro; il tenente Guido Keller, personaggio che meriterebbe un romanzo a sé, un vero eccentrico, naturista, nudista, vegano, dichiaratamente omosessuale, girava con un aquila sulla spalla. Barone di origine svizzera, già provetto pilota dell’aviazione italiana durante la guerra, fu segretario d’azione e grande amico di d’Annunzio, che lo scelse come capo della sua guardia personale. Durante l’impresa di Fiume si rese protagonista dello spettacolare volo su Roma per gettare un pitale su Montecitorio. Insieme a Giovanni Comisso fondò l’associazione “Yoga, Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione”, un movimento di risveglio morale, artistico e spirituale non precisamente organizzato. Lo stesso Comisso, che era arrivato come ufficiale del corpo d’occupazione interalleato, diventerà poi giornalista e scrittore affermato e racconterà l’esperienza fiumana nel libro Il porto dell’amore (1924), la sua prima prova in prosa e anche il primo volume pubblicato sull’argomento.
Vennero a trovare d’Annunzio personalità importati e già famose all’epoca come Guglielmo Marconi e Filippo Tommaso Marinetti, che soggiornò a Fiume per varie settimane e dedicò all’impresa una composizione (da poco ristampata) dal titolo Poema di Fiume. Fu invitato il direttore d’orchestra Arturo Toscanini, che tenne un concerto di tre ore in onore dei legionari. Il pubblico in delirio chiese ripetutamente il bis e Toscanini, in ricordo dell’evento, donò al Vate la sua bacchetta, oggi conservata al Vittoriale.
C’erano però anche problemi da risolvere, Fiume infatti era una città assediata che si trovò a far fronte all’embargo economico a cui era stata soggetta per ordine del governo. Scarseggiavano quindi rifornimenti di cibo e carbone non solo per i cittadini, ma anche per l’esercito che aveva raggiunto le diecimila unità. Il Comandante la risolse con un’invenzione delle sue: gli Uscocchi, un corpo scelto che aveva il compito di piratare navi di grosso carico, portarle a Fiume e poi chiederne il riscatto in denaro.
La bella impresa terminò nel più triste modo possibile quando nel novembre del 1920 Giolitti firmò il trattato di Rapallo con la Jugoslavia: Fiume sarebbe diventata uno Stato libero indipendente, ma di fatto rientrando nella zona di potere della Jugoslavia. D’Annunzio rifiutò di firmarlo e così Giolitti decise di intervenire con la forza. Vigliaccamente diede ordine all’esercito italiano di attaccare Fiume nel pomeriggio del 24 dicembre, un momento in cui nessuno era pronto alla guerra e soprattutto la notizia non avrebbe avuto diffusione perché i giornali non sarebbero usciti né il 25 né il 26 dicembre. Fu il Natale di sangue, un fratricidio in cui soldati italiani spararono contro soldati italiani. Non solo: l’Andrea Doria, la più potente nave da guerra della marina italiana, puntò i cannoni contro il Palazzo del Governo, sede del comando dannunziano, ad appena 500 metri dal porto e sparò due colpi diretti uno allo studio e l’altro alla camera da letto di d’Annunzio, con l’intenzione di ucciderlo. Uno dei suoi uomini morì, lui venne ferito alla testa. Decise in quel momento di arrendersi, dirà: “l’Italia che mi spara non merita né la mia vita né la mia morte”.
“Sulla cima del mondo. Il romanzo dei ribelli di Fiume”
Orlando Donfrancesco
Editore Historica Edizioni, 2019
251 pagine, €18,00
Sulla cima del mondo, il romanzo dei ribelli di Fiume
Il romanzo di Orlando Donfrancesco parte dal mito che si creò intorno a quell’evento, raccontato in prima persona da chi vi partecipò. Lo scrittore immagina la vita di un ragazzo, Saverio Gualtieri, reduce di guerra, che colto dalla notizia della presa di Fiume, lascia la vita borghese da poco ripresa a Roma per partire verso la città irredenta. Attraverso i vari capitoli seguiamo le vicende del protagonista, intrecciate con quelle di altri personaggi, più o meno fittizi, ma tutti verosimili. Il romanzo, uno dei pochi ambientati durante l’Impresa di Fiume, ha il grande valore aggiunto di essere perfettamente attendibile storicamente: non c’è una data, un nome o un discorso che non sia vero. Le vicende sono frutto della mente dell’autore, il quale ha aggiunto alla fine anche una ricercatissima colonna sonora, ma basate su uno studio attentissimo dei fatti storici, rievocati sullo sfondo con date, luoghi, personaggi tutti realmente esistiti.
Il pregio del libro, straordinariamente più maturo sia per costruzione che per profondità narrativa rispetto al precedente Il sole a occidente, è quello di muoversi con un ritmo serrato ed estremamente moderno in uno stile brillante, secco e futurista, così come preannuncia il potentissimo incipit: “Noi, quel giorno, eravamo bellissimi. Fucilati dal sole sui tetti degli autocarri che masticavano polvere e sassi. Bellissimi. Come il mare cobalto che si apriva in spicchi sempre più ampi ad abbracciare il ritorno dei soldati d’Italia”. Del resto non poteva essere altrimenti per un romanzo che trae il titolo dal manifesto del futurismo di Marinetti: “Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!”. In questa frase c’è già tutto l’assolutismo disperato che sottende l’impresa di Fiume, un’impresa che nasce come un sogno e che ha già dentro di sé l’amarezza della sconfitta. E’ questo senso di ebrezza della morte che il romanzo cerca di raccontare, persino durante la vicenda d’amore che condurrà il lettore alla tragica e beffarda fine, perfetto colpo di scena che collega gli eventi del 1920 a quelli del 1945 e così alla Storia contemporanea.
Fiume, Primavera 1920. Una rara foto di una donna con il fez e pugnale da ardito
D’Annunzio e il fascismo
Resiste ancora nel pensiero comune l’associazione tra l’impresa di Fiume e la nascita del fascismo. Perché? Si tratta di un vero e proprio errore storiografico, negato da tutti i principali storici a partire da De Felice, frutto di una lettura approssimativa e faziosa della storia, che confonde le idee originali con le copie.
Limitandosi ai soli documenti basterà leggere la Carta del Carnaro, ovvero la Carta Costituzionale di Fiume, per capire quanto si era distanti da quelle idee. Si era, anzi, all’opposto: laicità dello Stato, parità tra i sessi e diritto di voto alle donne, legalizzazione del divorzio, eleggibilità di ogni cittadino a partire dai venti anni, tutela delle minoranze, istruzione primaria gratuita, assistenza sociale per malattia, invalidità, disoccupazione, vecchiaia. Quello che successe a Fiume, insomma, fu molto più simile al Sessantotto che al fascismo, un momento in cui si arrivò a riconoscere all’individuo grandi libertà, tra cui anche quella sessuale e la liberalizzazione dell’uso di droghe, anticipando quello che accadrà in epoca contemporanea. In questo senso si è parlato di Fiume come “microcosmo del mondo moderno”.
Questo clima di fermento e di novità attrasse una quantità di esperienze diverse, di ansie di ribellione, di velleità rivoluzionarie che avrebbero poi preso strade diverse, per cui non stupisce che alcuni di coloro che parteciparono all’impresa aderirono poi al fascismo (che in prima istanza fu, infatti, un movimento socialista). Ettore Muti aveva appena 17 anni quando arrivò a Fiume attratto dall’impresa, per la sua spregiudicatezza entrò subito a far parte degli Uscocchi; nel ’39 diventerà segretario nazionale del Partito nazionale fascista. Per i casi strani della storia, capo degli uscocchi era Mario Magri, un ex ardito, chiamato da d’Annunzio “Capitan Magro”: durante il fascismo venne condannato al confino dove rimase ininterrottamente per 17 anni e morirà alle fosse ardeatine.
Primo capo di gabinetto del governo di Fiume fu Giovanni Giuriati, fortemente nazionalista e che abbandonerà l’incarico dopo pochi mesi. Giuriati diventerà nel ’30 segretario del PNF, ma la sua carica durò un anno e fu sostituito da Achille Starace. La sostituzione avvenne soprattutto a causa dell’indiscriminata epurazione nelle file degli iscritti al partito (120.000 esclusioni) che Giuriati denunciò. Il secondo capo di gabinetto del governo di Fiume fu Alceste de Ambris, un sindacalista rivoluzionario che stenderà la prima versione della Carta del Carnaro: irriducibilmente antifascista, sarà confinato e costretto a morire in esilio.
Lo stesso Guido Keller parteciperà alla marcia su Roma, ma disgustato subito dal fascismo intraprese varie avventure, fondò una scuola di volo in Turchia, si arruolò in Libia, poi andò in Sudamerica fino a morire per un incidente in automobile.
L’impresa di Fiume, insomma, fu un crogiolo di culture e pensieri diversi, occasione di incontro tra socialisti, nazionalisti, anarchici, irredentisti che liberamente esprimevano la loro opinione e punto di vista, diversamente dal mono pensiero imposto dal partito fascista.
Inoltre nel settembre 1919 i fasci erano nati da appena sei mesi e Benito Mussolini era un giornalista affermato, ma senza alcun potere politico. Si era recato più volte a Fiume per dovere di cronaca e dichiarò a d’Annunzio di essere disposto ad appoggiare l’impresa tramite il suo giornale. Mussolini non solo non farà, ma lo tradirà rivelando a Giolitti le sue mosse. Una volta al potere, dal 1922 in poi, si appropriò di tutti i rituali nati a Fiume creati dal Vate a partire dall’estetica, le canzoni e persino i motti: il saluto “eja, eja, eja, alalà”, il motto “me ne frego”, la canzone “Giovinezza”, le divise degli arditi, i teschi, il saluto “a noi” e anche l’idea di dialogare con la folla da un balcone. In sostanza d’Annunzio inventò un nuovo tipo di politica fondata sul carisma, sulle emozioni e sui rituali in cui il capo politico parla direttamente alle masse che sarà copiato non solo da Mussolini, ma dai regimi dittatoriali di ogni colore. La differenza abissale tra l’uno e l’altro sta tutta qui: d’Annunzio era un poeta, un sognatore; Mussolini un pratico uomo politico.
In questa operazione di “defascistizzazione” si è particolarmente impegnato il direttore del Vittoriale Giordano Bruno Guerri, che da anni si occupa di promuovere e diffondere la conoscenza del Vate, sia curandone il museo sul lago di Garda, sia scrivendo numerosi libri biografici tra cui i famosi L’amante guerriero (Mondadori, 2008) e La mia vita carnale (Mondadori, 2013).
In occasione dell’anniversario fiumano ha pubblicato il libro Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione Fiume 1919-1920 (Mondadori, pagine 564, euro 28), una ricostruzione dell’Impresa fiumana e dei suoi protagonisti. Si è fatto inoltre promotore di una serie di iniziative tra cui una mostra itinerante, letture, presentazioni e convegni, come quello internazionale tenutosi al Vittoriale nel settembre del 2019. Sul sito del Vittoriale è stata dedicata una sezione a parte al centenario (fiume.vittoriale.it), in cui sono state raccolte tutte le pubblicazioni, le notizie e gli eventi.
La mostra “Disobbedisco”
La mostra “Disobbedisco, la rivoluzione di d’Annunzio a Fiume” è stata esposta dapprima a Trieste (dal 12 Luglio fino a metà Novembre 2019) e poi a Pescara (dal 1 Dicembre 2019 al 27 Settembre 2020), dove anche io ho potuto vederla.
Molto bello l’allestimento, che ricorda l’interno di una nave o un sottomarino, con luci basse e pareti dai colori accesi, in perfetto stile Vittoriale. Sono stati esposti numerosi oggetti e cimeli provenienti direttamente dal Vittoriale degli Italiani, comprese fotografie e documenti inediti, grazie al contributo dell’Archivio del Museo storico di Fiume a Roma.
Tra gli oggetti in mostra: l’autovettura con la quale d’Annunzio fece il suo ingresso a Fiume, la bacchetta che il direttore d’orchestra Arturo Toscanini donò a Luisa Baccara, corredata del programma del concerto di Fiume del novembre del 1920, e la maestosa bandiera tricolore (6 metri x 4 metri) utilizzata da Gabriele d’Annunzio nell’atto riconciliatore del ricoprire le bare – di rivoluzionari e soldati insieme – caduti nel Natale di sangue.
L’apertura della mostra a Trieste, avvenuta insieme all’inaugurazione di una statua del Vate al centro della città, ha innescato una serie di polemiche. Secondo la presidente croata Kitarovic i rapporti tra Italia e Croazia «si fondano oggi su valori che sono in totale contrasto con tutto quello che ha fatto colui al quale è stata dedicata la scandalosa statua della discordia» e, ancora, il primo ministro Andrej Plenkovic ha detto: «Volevamo sottolineare che per noi D’Annunzio rappresenta un’occupazione e un’ideologia sconfitta che ha causato la tragedia della Seconda guerra mondiale» [1]. Senza entrare nel vivo della polemica, un episodio come questo dimostra che ancora oggi la questione rimane controversa.
Dopo lo sgombero di Fiume, nel gennaio 1921, la città divenne effettivamente Stato Indipendente. In epoca fascista, dopo una serie di accordi con la Jugoslavia, che ottenne la Dalmazia, Fiume divenne finalmente italiana nel 1924. In quell’occasione il Re concesse a d’Annunzio il titolo di Principe di Montenevoso. Fiume fu quindi italiana per 21 anni, dal 1924 al 1945, quando alla fine della Seconda guerra mondiale verrà assegnata alla Jugoslavia di Tito e da allora si chiama Rijeka.
“A difendere l’italianità di Fiume presso le potenze alleate, rimasero solo pochi politici locali, tra cui Riccardo Zanella. Tolto «il bavaglio» cui l’Italia fascista l’aveva costretto per vent’anni, l’autonomista Zanella cercò di presentare lo Stato libero come una «vittima del fascismo» alla stregua dell’Etiopia e dell’Albania. I rapporti con Tito, però, «erano troppo importanti per gli Alleati che gli avevano già negato Trieste». Era necessario offrirgli una contropartita e il leader comunista, che aveva unificato i partigiani serbi, croati e sloveni, poté presentarsi come il vendicatore delle violenze sopportate in guerra dagli slavi durante l’occupazione italiana. Dopodiché i «liberatori comunisti», scrive Guerri, «non furono meno feroci degli sconfitti nazifascisti» e quando entrarono a Fiume, il 3 maggio del 1945, diedero immediatamente inizio alla pulizia etnica. La repressione del dittatore Tito costò la morte di oltre seicento fiumani e l’esilio di altri trentottomila. Poi la Jugoslavia si adoperò a «cancellare metodicamente ogni traccia dell’identità italiana». Contemporaneamente l’Italia repubblicana escluse l’impresa di Fiume dalla galleria della storia nazionale.”[2]
Trailer del film Il cattivo poeta
D’Annunzio dopo Fiume
Nel gennaio del 1920 d’Annunzio firma la resa: chiede che i suoi legionari non vengano puniti, ma anzi decorati. Parte da Fiume il 18 gennaio insieme a Luisa Baccara, la giovanissima pianista che aveva conosciuto durante l’occupazione e che divenne la sua amante convivente. Dopo circa un mese decise di fermarsi in una grande villa colonica a Cargnacco, sul Lago di Garda, precedentemente appartenuta al critico d’arte tedesco Henry Thode.
Ne fa il suo ultimo capolavoro: il rifugio lontano dal mondo, la gabbia dorata nata dalla delusione, il libro di pietre vive, dove sarebbe rimasto fino alla morte. Quest’anno 2021 ricorre il centenario del Vittoriale e sono previste le riaperture di ogni area con nuovi allestimenti museali, compreso il nuovo museo dedicato a Giancarlo Maroni.
Inoltre si aspetta l’uscita del film Il cattivo poeta, diretto da Gianluca Iodice e con Sergio Castellitto, che racconta proprio gli ultimi anni di vita del Vate e girato proprio al Vittoriale.
FONTI & LINK UTILI:
[1] La Croazia contro l’italia un’offesa la statua di d’Annunzio a Trieste, La Stampa
[2] Dannunziani antifascisti, libro saggio mondadori giordano bruno guerri, Corriere della Sera
Per una visione generale delle vicende che portarono all’impresa di Fiume: “Fiume città di Vita”
Su d’Annunzio uomo politico: D’Annunzio, l’esteta della politica
Giordano Bruno Guerri presenta il suo libro Disobbedisco, ospite della 17° edizione di PASSEPARTOUT
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FIUME OGGI:
Foto di Orlando Donfrancesco
Foce del fiume EneoCattedrale di San Vito Il vecchio mercatoTeatro VerdiCimitero di Cosala
Il Palazzo del Governo:
il Palazzo del Governo dopo le cannonate dell’Andrea Doria
MOSTRA
“Disobbedisco, la rivoluzione di d’Annunzio a Fiume”
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