Di fronte al chiasso di molte opere contemporanee tra installazioni colorate, sculture incomprensibili e noiose performances estreme, il silenzio che Christian Boltanski impone alla sua opera è salvifico.
Nulla di più semplice.
Non ci sono colori in questa installazione, né oggetti: non c’è materia, solo pensiero.
L’opera consiste in un una serie di 20 fotografie di volti umani in bianco e nero su tela che, grazie ed una struttura modulare, girano lentamente intorno la stanza.
L’istallazione è stata pensata per la Fondazione Volume! , ed occupa l’intero spazio della galleria, una stanza bianca, spoglia, infondo la quale ci sono due finestre che la illuminano e nient’altro.
Chi entra nella stanza entra anche nell’opera e se ne trova al centro, circondato dalle tele che girano.
I volti sono fotografie d’Archivio che l’artista ha tagliato e rimontato creando così persone nuove, ma non del tutto inesistenti.
Per l’artista che da sempre si muove nella narrative art rimanendo un concettuale, la foto è il modo più diretto per ricordare i visi e quindi l’identità di una persona.
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Di padre ebreo, ha vissuto il dramma della Shoah e ne è rimasto segnato, si chiede come sia possibile conservare l’esistenza di una, mille persone. Come è possibile che la vita di una persona, dopo la sua morte, lasci solo frammenti?
L’artista, che ha scommesso la sua stessa vita con un miliardario tasmaniano, che per “Personnes” ha voluto collezionare battiti cardiaci e per “Les Abonnés du téléphone” tutti gli elenchi telefonici del mondo, gioca con la vita e i suoi limiti creando opere immense, non in dimensioni, ma in pretese.
Se di fronte alla dissoluzione delle cose la memoria è l’unico modo per recuperarle e per non dimenticarle, l’arte allora è il mezzo con cui la memoria può parlare.
“Sans fin”, che anticipa in piccolo “Chance” l’opera che Boltanski ha esposto in questa biennale per il Padiglione Francia, parla proprio della memoria attraverso l’assenza, cercando di dare un senso a quei frammenti di foto che vediamo, ricordare o immaginare le vite di quelle persone per restituirgli un’identità e definire così la nostra.
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Il percorso è continuo e lento, ciclico come la vita. «In questo momento rifletto molto sulle cose che continuano, oggi c’è una popolazione e tra vent’anni ce ne sarà un’altra. La vita riprende sempre».
Il movimento ripetitivo e non del tutto fluido di queste tele è come un ingranaggio della mente, con lo stesso cigolio. I volti, frammenti di persone che racchiudono fragilità ma anche mistero, ci scorrono davanti senza passato né futuro, in un unico flusso temporale che sempre si ripete, inizia e finisce, senza fine.
Fondazione Volume!
Via di San Francesco di Sales, 86 – Roma
dal 06/05/2011 al 30/09/2011
foto Federico Ridolfi via FondazioneVolume!
articolo per dudemag