“Per comandare le cose forti, signora, bisogna essere forti. E voi lo siete.
L’umanità si può usare solo nella vita privata.
E chi non ha altezza d’animo non può comandare uno Stato. ”
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Rinascimento Privato
Maria Villavecchia (1902 – 1986) e suo marito Goffredo Bellonci tenevano un salotto letterario, denominato gli “Amici della domenica”, nella loro casa romana ai Parioli. Proprio durante questi incontri maturò l’idea di creare un premio letterario e così, grazie all’appoggio di Guido Alberti, proprietario della casa produttrice del Liquore Strega, fondarono nel 1947 il Premio Strega.
La stessa Maria era scrittrice di raffinatissimi romanzi storici: aveva esordito con Lucrezia Borgia nel ’39 e vincerà il Premio Strega poco dopo la morte con il suo ultimo romanzo, Rinascimento Privato, pubblicato nel 1985, dopo un lavorato durato vent’anni.
I romanzi mantovani
Rinascimento privato è un’autobiografia immaginaria di Isabella d’Este la quale, nel raccontare la sua vita, ripercorre gli anni salienti del Rinascimento italiano attraverso un punto di vista privato, cioè dall’interno della corte del Ducato di Mantova. Di questa primadonna del Rinascimento, rivale di Lucrezia Borgia (che divenne amante di suo marito, Francesco II Gonzaga, pur avendo sposato suo fratello Alfonso d’Este), la Bellonci ne descrive le qualità («sicura di poter tutto avere, tutto imparare») e le capacità politiche, superiori anche a quelle del marito e del figlio. In un mondo dominato dagli uomini, infatti, «l’ingegno è una condanna per una donna; e si deve pagare caro».
Isabella fu accorta politica, reggente del marchesato di Mantova durante l’assenza del marito e per conto del figlio, ancora minorenne; fu una protagonista della storia del suo tempo, avendo rapporti con tutti i maggiori protagonisti del periodo. Fu ottima amica di Ludovico il Moro, che aveva sposato la sorella Beatrice; fu in contrasto con Giulio II per Urbino; vive il Sacco di Roma barricata a Palazzo Colonna, l’unico che i lanzichenecchi risparmiarono. Isabella amava moltissimo l’arte tanto che ricomprò lei stessa gli arazzi di Raffaello, rubati dagli spagnoli durante il sacco, pur di salvarli.
A Mantova fu animatrice di uno dei centri culturali più importanti dell’epoca, frequentato anche da Baldassarre Castiglione che ne Il Cortigiano inventò l’arte dell’eleganza, una guida indispensabile per tutti i gentiluomini di corte. Isabella fu una donna coltissima, collezionista d’arte e grande mecenate: fu l’unica nobildonna italiana ad avere uno studiolo. Il suo camerino è il suo capolavoro: uno scrigno di stanze decorate con motti ed emblemi dipinti, in cui trovavano posto le sue collezioni di orologi, gli strumenti musicali (era infatti abile musicista), le antichità, i cammei e le medaglie, oltre ai dipinti di Mantegna, Perugino, Lorenzo Costa il Vecchio e anche una scultura di Michelangelo. Dopo la sua morte molte delle opere, quando non andarono disperse, finirono tramite varie donazioni al re Luigi XIV e, dopo la rivoluzione francese, al nascente Museo del Louvre.
Sarà suo figlio Federico II Gonzaga, amante dell’arte come la madre, a far costruire da Giulio Romano Palazzo Te, che riempì di numerosi capolavori, non ultimi i due ritratti di sé stesso e di sua madre commissionati a Tiziano. La vasta e preziosissima Collezione Gonzaga oggi non esiste più: Vincenzo II aveva iniziato dal 1625 lunghe trattative con Carlo I Stuart, re d’Inghilterra, per vendergli gran parte delle collezioni. Il resto sarà saccheggiato durante il sacco di Mantova nel 1630.
Tiziano, Ritratto di Isabella d’Este, 1535.
Kunsthistorisches Museum, Vienna
una delle stanze dello Studiolo di Isabella d’Este a Palazzo Ducale, Mantova
La Bellonci aveva trattato dei Gonzaga e di Mantova in un altro libro, I segreti dei Gonzaga (1947), scritto molto prima e dove racconta invece le vicende nel periodo tra fine ‘500 e inizi ‘600, quando protagonisti erano Guglielmo e Vincenzo, rispettivamente figlio e nipote di Federico II. Siamo ormai oltre il Rinascimento, “è proprio finito il tempo chiaro dell’Umanesimo, chiuso il Rinascimento; e s’annunciano le inquietudini, le malinconie offese, i fantastici lampeggiamenti spirituali del Seicento […] uno stato d’animo diffuso di generosità e d’impotenza, di foga e di corruccio, di splendore e di decadimento …“.
Se Rinascimento Privato fa del potere una presentazione grandiosa e a tratti anche magnificata, I segreti dei Gonzaga narra la decadenza e la corruzione. Al centro delle vicende è sempre la corte dei Gonzaga e, tramite loro, i più importanti personaggi del periodo come i Farnese, gli Este, i Medici, senza però un vero e proprio protagonista. Tutto è narrato preziosamente e dettagliatamente, facendo emergere sempre la crudeltà delle ragioni dinastiche, del sesso e dell’amore, del fasto e della ricchezza.
Tiziano, Portrait of Federico II Gonzaga, 1529.
Museo del Prado, Madrid.
Altre scrittrici affini
La Bellonci riesce a creare romanzi storici che sono anche affreschi d’ambiente, dove l’accuratezza delle fonti e l’esattezza delle vicende si coniuga perfettamente alla bellezza narrativa, allo scandaglio psicologico dei personaggi e alla ricerca di una verità privata. Scrisse infatti dei racconti di ambientazione storica, raccolti in Tu vipera gentile (1972).
Questo genere di narrativa, che nella Bellonci raggiunge la sua massima perfezione, può ritrovarsi per similarità di toni e di tematiche nei libri di Anna Banti, in particolare in Artemisia (1947), biografia romanzata della pittrice Artemisia Gentileschi.
Anticipatrice dei gender studies anglosassoni, la Bellonci ha avuto molto successo anche in inglese. Ritrovo una particolare affinità con la scrittrice Antonia Susan Byatt, anche lei inseribile nel romanzo storico di chiave privata. I suoi romanzi, di cui il più famoso è sicuramente Possession (1990) è un thriller storico di ambientazione vittoriana e preraffaellita; in Italia, per la stessa atmosfera, segnalo i racconti di Marisa Volpi, in particolare Fuoco Inglese.
La Fondazione e la casa museo
La casa-studio in cui Maria Bellonci visse col marito Goffredo dal 1951 e fino alla morte esiste ancora. Quella che Cesare Pavese chiamò “la casa amica”, proprio lui che non la visitò mai perché nel 1950 si tolse la vita, oggi è sede della Fondazione Guido e Maria Bellonci.
La fondazione organizza annualmente il Premio Strega, svolge un’intensa attività di diffusione della letteratura italiana contemporanea, specialmente nelle scuole e soprattutto conserva un ingente patrimonio librario e documentario, composto da circa 24.000 volumi, che nel suo insieme costituisce una preziosa testimonianza della cultura italiana del Novecento.
La Fondazione è soprattutto una casa museo: quando la Bellonci morì, nel 1986, lasciò tutto alla sua carissima amica Anna Maria Rimoaldi, che si preoccupò di conservare il luogo così come era stato lasciato e di istituire la fondazione a loro nome.
E’ finalmente prossima l’apertura della casa museo (primavera 2021) che sarà dunque un’altra tra le case museo di Roma. Per vedere qualche foto degli interni guardate questo articolo: www.huffingtonpost.it .
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