Il lato oscuro dell’arte giapponese
L’arte contemporanea occidentale produce opere che suscitano grande noia e disinteresse verso chi nell’arte ricerca Bellezza eterna. Spesso performance senza senso, oggetti assemblati, foto o figure stampate e altri “linguaggi artistici” che passano per avanguardia, nascondono spesso povertà di contenuti, quando non una vera e propria incapacità.
L’ arte giapponese contemporanea porta esempi come Takashi Murakami (Tokyo, 1962), famoso a tal punto da aver collaborato con Louis Vuitton e col rapper Kanye West, noto per creare immagini molto colorate, pop e kawaii, che non comunicano niente altro se non un immaginario giocoso e un poco ossessivo. L’artista donna più famosa e quotata è Yayoi Kusama (Matsumoto, 1929) e anche lei tende all’ossessività, visto che non sembra capace di fare altro oltre i pois (sarà un caso, ma anche lei ha collaborato con Vuitton).
Questo tipo di arte molto piatta, in stile cartone manga e molto affine alla moda harajuku, che strizza l’occhio all’infantile, per quanto costruisca un mondo carino e rassicurante, è ben lontana dal rappresentare la complessità della cultura figurativa giapponese, che è antica e con numerose zone d’ombra. Il Giappone, infatti, è anche la patria di Nobuyoshi Araki (Tokyo, 1940), il controverso fotografo erotico, e di Toshio Saeki (1945 – 2019), da poco scomparso, disegnatore di fumetti erotico-surreali.
E’ sicuramente in questo lato dell’arte che si colloca Fuyuko Matsui: “Non mi piace l’arte carina e simpatica. L’arte giapponese oggi è così, ma se pensiamo ai secoli passati, come ad esempio al periodo Kamakura, era molto più inquietante e spettrale. Nella mia arte, vorrei ritornare a quel gusto”.
La tradizione tra oriente e occidente
Fuyuko trascorre la sua infanzia in un villaggio di montagna chiamato Mori-Machi, a circa due ore di distanza dal Monte Fuji, in una casa in cui la sua famiglia abitava da 14 generazioni, dove “i tappeti tatami avevano raffigurazioni sansuiga (paesaggi, generalmente di montagne e fiumi, dipinti ad inchiostro)”. Quando era piccola, come punizione, i genitori la rinchiudevano nel ripostiglio dove tenevano appese spade antiche e dipinti di fantasmi. Nel folklore giapponese, secondo una credenza databile al XV secolo, immagini di fantasmi appesi fuori la porta spaventano i ladri. Nelle opere di Fuyuko spesso troviamo donne dalla consistenza spettrale, come in Nyctalopia (2005), in cui una donna dai lunghissimi capelli neri viene raffigurata nell’atto di strozzare un gallo.
L’antica tradizione giapponese affonda le radici nella sua infanzia e ne determina le inclinazioni artistiche in modo viscerale, ma fino ai 20 anni Fuyuko si dedica ad approfondire l’arte europea, da Leonardo a Dürer: “la più grande influenza che ho subito è stata quando ho visto una copia della Monna Lisa in una biblioteca, andavo ancora alle elementari”.
La peculiarità di Fuyuko, che la porterà a sviluppare un linguaggio artistico personalissimo di fusione tra oriente e occidente, tra tradizione e modernità, è proprio questa. Prima di lei, forse soltanto Tsuguharu Foujita (1886 – 1968) era riuscito a trovare una sintesi credibile tra la cultura orientale, di origine, e quella occidentale, di imprescindibile conoscenza per qualsiasi artista. Nonostante i suoi modelli siano pittori come Hasegawa Touhaku (1539 – 1610) e Hayami Gyoshu (1894 – 1935), per il quale ha una vera e propria ammirazione (“Gyoshu mi ha insegnato a dipingere con stoicismo e integrità, ad osservare il soggetto con più impegno e più fede”) e si chiede “quanto dovrò ancora lavorare per raggiungere i suoi livelli”, studia anche Bernini, Jan van Eyck e Lucas Cranach: “la passione religiosa in questi dipinti è molto vicina alla follia”.
La sua pittura si fonda sulla tecnica nihonga, (termine coniato nell’era Meiji, 1868-1912, per distinguere la pittura giapponese da quella occidentale chiamata youga) ovvero l’arte realizzata secondo le convenzioni, le tecniche e i materiali della tradizione artistica nipponica. E’ una procedura che necessita di molta pazienza e massima precisione: i pigmenti sono polveri di pietre o altri minerali non solubili con acqua e che devono essere applicati con una particolare colla sul supporto, di solito seta o carta giapponese. Si lavora con il supporto a terra, e non sul cavalletto come per la pittura ad olio; spesso ci vogliono settimane prima che la colla di alcuni strati si asciughi per passare alla fase successiva. Il processo di creazione artistica diventa così una vera e propria prova di resistenza: “Ho sentito che dovevo dipingere in modo leggero; usare grossi colpi di pennello non è la via più adatta. Prendersi cura di una cosa e metterci del tempo ti fa arrivare ad un’espressione più profonda. Come una tortura: conficcare spilli è più doloroso di un pugno”.
Prima di lei nessun artista contemporaneo dipingeva su seta e soltanto ultimamente si è notato un incremento di artisti che usano questa tecnica. “Non ho molta fiducia in artisti senza particolari abilità” dice Fuyuko, secondo la quale questa tecnica “richiede un’inesorabile devozione verso l’imparare e il credere che, senza le limitazioni imposte dal procedimento, non si possa creare nulla”.
Becoming Friends with All the Children in the World
2002 / Color on silk Mounted on Paper with Metal Foil Backing
Il perturbante
Nella sua pittura c’è tutto ciò che l’arte contemporanea di successo rifiuta: la lentezza, la tecnica antica, la pazienza e nessuna facile provocazione. Fuyuko utilizza la modalità di espressione tradizionale per creare immagini morbose e di scomoda fruizione, i suoi temi sono la morte, l’implicita violenza, la sofferenza, la follia: “Vorrei creare una partecipazione, un forte sensazione, tra me e chi osserva. Quello che mostro è qualcosa che lo spettatore non può fare. E’ come per quelle persone che si buttano sotto un treno: nella mia arte sto praticamente buttandomi sotto il treno. Questo shock, lo faccio anche per loro”. La sua tesi di dottorato, discussa alla Tokyo University of the Arts nel 2007, si intitolava “The Inescapable Awakening to pain, through Visual Perception via the Sensory Nerves” (L’inevitabile consapevolezza del dolore tramite la percezione visiva e attraverso sensazioni nervose) e trattava del come esprimere il dolore, che è una cosa personale, in modo che anche un’altra persona possa provarlo soltanto vedendo una rappresentazione. La tesi era accompagnata dall’opera: Becoming Friends with All the Children in the World (2002), un’immagine di apparente leggiadria: una bambina sembra avvicinarsi ad una cascata di glicini per sentirne il profumo, sullo sfondo e un po’ nascosta c’è una culla bianca, forse abbandonata o dimenticata. Ma lo sguardo della bambina è vuoto e un po’ alienato, le sue dita sono sporche di sangue e i fiori sono in realtà coperti di vespe.
L’opera, insieme ad altre 100 tra disegni preparatori e bozzetti, è stata esposta alla mostra, nel 2012, al Yokohama Museum of Art di Kanagawa, la prima in un museo pubblico. Si tratta di dipinti realizzati su rotoli di seta secondo la tecnica nihonga, che permette sfumature dolcissime e colori soffusi, molto simili al pastello. La delicatezza di questa tecnica contrasta con i soggetti raffigurati: sono dipinti che solo a prima vista sembrano classici. I temi tipici della tradizione nihonga (fiori, donne, animali, alberi) vengono utilizzati per generare visioni d’incubo, che rivelano un immaginario oscuro e gotico. La sensazione perturbante che ne scaturisce è quella freudiana dell’unheimliche, concetto questo tutto occidentale, ma congeniale anche ai già citati Nobuyoshi Araki e Toshio Saeki.
Demanding Proof of Being Treated Kindly for as Long as Possible (2004) raffigura un bellissimo fiore, un iris per l’esattezza, ma se osserviamo più attentamente emerge dal fondo un’oscura foresta in cui si notano dettagli inquietanti: un cane a terra, forse morto e, a destra, le gambe di un essere umano (una donna?) che sbucano dal terreno. L’elemento naturale è qui un humus fatale in cui la decomposizione e la morte danno vita ad uno splendido fiore. In Giappone esiste la cosiddetta “foresta dei suicidi” di Aokigahara (anche detta Jukai), ma l’opera potrebbe anche essere ispirata all’antico Shōrin-zubyōbu (Paravento con foresta di pini, 1593-1595?) di Hasegawa Tōhaku (1539-1610).
Lo stesso effetto si nota in Insane Woman under the Cherry Tree (2006): una donna, vicino ad un albero, vomita le proprie viscere tra cui si distingue un feto. L’artista dice: “la donna impazzita si trova sotto un albero di ciliegio, quindi dovrebbe essere primavera, ma ci sono foglie autunnali di acero sul suo kimono”. Il tema non troppo suggerito è la maternità o il suo rifiuto, l’aborto, il sentire le proprie viscere come estranee. L’ispirazione è anche qui antica: Ryūkakijo-zu byōbu (Paravento con demone femmina sotto un salice) del pittore iconoclasta Soga Shōhaku (1730-1781), che fu a sua volta influenzato dal pittore di epoca Muromachi Soga Jasoku (d. 1483).
L’influenza dell’arte occidentale è molto evidente in Scattered Deformities in the End, in cui il modello è Nastagio degli Onesti (primo episodio) di Sandro Botticelli, e in Engraved Altar of the Limbs (Il cesellato altare delle membra, 2007), in cui la delicatezza delle ombre, così come la dolcezza del viso, ricordano le madonne leonardesche. Qui l’artista raggiunge effetti simbolici e surreali: una donna che sembra correre con un’espressione serena, si sfalda nella carne mostrando le sue interiora. Nel petto si nasconde un teschio, in mano però ha un giglio simbolo di purezza; in alto dei galli e in basso dei cani che si azzuffano sono segnali sinistri. Ci sono tutti gli elementi per una vanitas: la bellezza e la sua corruzione.
Demanding Proof of Being Treated Kindly for as Long as Possible
2004 / Color on silk, Hanging scroll
Le tavole anatomiche
Fuyuko dipinge solo donne perché i suoi lavori sono soggettivi: “posso solo creare ciò che capisco. Gli uomini non mi sono abbastanza familiari da dipingerli in modo realistico”. Non è un proclama di femminismo, ma un programma di adesione alla realtà: “Non ho nessun messaggio, voglio solo dire cosa significa essere donna”. Anche se esplicitamente non affronta polemiche, è chiaro che ci sia una forte presa di posizione nel contestare la concezione della donna e il ruolo che per tradizione le viene assegnato dalla società: “abbiamo poche artiste in Giappone e le figure femminili sono dipinte solo dal punto di vista maschile, che spesso è uno sguardo spregiativo e sessualmente distorto. Essendo io una donna artista posso finalmente dipingere donne attraverso uno sguardo femminile e dare così una visione realistica”.
La sua non è arte di sogno o di evasione, anzi è concreta, legata al corpo femminile di cui esamina le differenze: “Uomini e donne sono diversi. Secondo gli studi anatomici le donne sono più deboli rispetto agli uomini per quanto riguarda lo sviluppo dei muscoli, tranne che per l’utero. Il corpo della donna ha il suo centro nell’utero”.
E’ attraverso questa sensibilità tutta femminile che Fuyuko intraprende una serie di opere ispirate ai kusōzu, rappresentazione in nove o dieci stadi del decadimento di un cadavere, tipiche dall’era Kamakura (1185-1333). Gli stadi illustrano nei dettagli le graduali fasi di decomposizione di un corpo di donna e venivano utilizzati dai monaci buddisti per la meditazione, come modo per allontanare il desiderio sessuale. Fuyuko conosce anche le tavole anatomiche di origine occidentale, come quelle di Andrea Vesalio (Andreas van Wesel, 1514 –1564), che in Giappone sono state trasposte nel Kaitai shinsho (Nuovo trattato di anatomia, 1774), un trattato di anatomia in quattro libri, basato su testi olandesi (come lo Ontleedkundige Tafelen, Tavole anatomiche, 1734), tradotti dal rangakusha Sugita Genpaku (1733-1817). Le interessa l’anatomia tanto da aver assistito alla dissezione di un vitello alla Kumamoto’s Tokai University e ad aver studiato fotografie di autopsie, provenienti dal Museo di anatomia comparata di Bologna; ha visto anche le veneri anatomiche del museo La Specola di Firenze, molto affini al suo lavoro.
Il progetto è lungo, come si evince dalle date dei dipinti iniziati nel 2004 e terminati nel 2011, e ne viene fuori un’opera personalissima e di grande impatto: il corpo di una donna, forse vittima di un omicidio o di una violenza, con il viso sorridente e il corpo aperto, viene raffigurato con estrema grazia e delicatezza: “Lei sta letteralmente esponendo le sue parti sessuali, proprio come fanno i fiori nella stessa scena. Volevo solo raffigurare una donna che ostenta sé stessa, secondo una visione anatomica oggettiva”.
Si inizia con Keeping Up the Pureness (Conservando la purezza, 2004), un’immagine che le venne in mente durante una notte insonne. L’opera, di una delicatezza meravigliosa, potrebbe raffigurare la scena di un delitto e un omicidio c’è sicuramente, perché tra le viscere si distingue un feto. Il corpo aperto, ma non sfigurato, rimane bellissimo, circondato da una natura fiorita e rigogliosa.
Il secondo stadio è Crack in the Ashes (2006): la donna è riversa e il viso nascosto, ma da piccoli particolari, come la carne delle gambe, si capisce che il suo corpo sta iniziando ad essere corroso; ci sono due topi che probabilmente attaccheranno il cadavere e anche i fiori sono appassiti, il viso è coperto dal fiore manjushage (Lycoris radiata), che significa “fiore dei morti”.
In The Parasite Will Not Abandon the Body (2011) il corpo della donna sembra apparentemente coperto di neve, invece sono vermi; il cadavere è in decomposizione avanzata.
In Joining the Conversion (Abbracciando la conversione, 2011) resta solo lo scheletro circondato dai fiori autunnali (la melagrana e l’acero), un serpente penetra tra le ossa e il teschio; infine in Unification of the Four Limbs (Unificazione delle quattro membra, 2011) resta soltanto il teschio e la colonna vertebrale in un notturno spettrale.
La sua ultima opera la vede coinvolta al Rurikoin Byakurengedo, il cimitero high-tech a Tokyo, realizzato dall’architetto Kiyoshi Takeyama al terzo piano del tempio buddista di Bansho-ji. La struttura è costituita da pareti di led blu dove sono contenute le ceneri dei defunti: le famiglie, tramite un sistema tecnologico di riconoscimento, potranno trovare l’urna del defunto grazie ad una swipe card che illuminerà quella giusta.
La pittrice sta realizzando un’opera che adornerà la sala da tè all’interno del cimitero: una serie di 48 pannelli dal titolo The Cycle of Life and Death, per la quale lavora anche 12 ore al giorno, e che sarà pronta per il 2021.
Keeping up the Pureness 2004
Hanging Scroll, Color Pigment on Silk
Crack in the Ashes (2006)
The Parasite Will Not Abandon the Body (2011)
Joining the Conversion, 2011Unification of the Four Limbs, 2011
Vita e carriera
Fuyuko Matsui (松井冬子) nasce nel 1974 a Mori-Machi, nella Prefettura Shizuoka. Studia pittura ad olio e si laurea nel 1994 al Joshibi Junior College of Art and Design di Tokyo. Nel 2002 ottiene l’ammissione alla Tokyo University of the Arts in cui si specializzerà in pittura nihonga. Più tardi, nel 2007, otterrà anche un dottorato di specializzazione a riguardo, con una tesi intitolata “The Inescapable Awakening to pain, through Visual Perception via the Sensory Nerves”, accompagnata dall’opera Becoming Friends with All the Children in the World.
Nel 2006 partecipa a una serie di mostre collettive nelle quali si fa notare per l’indiscutibile talento e il personalissimo linguaggio artistico. Tra queste “MOT Annual 2006: No Border” al Museo di arte contemporanea di Tokyo e “Six Provocative Artists” al Yokohama Museum of Art a Kanagawa, tanto da vincere il premio “The Sato Museum of Art Exhibitoner of Excellence Award” e la nomina a migliore artista debuttante di Vogue Giappone. Altri riconoscimenti seguiranno: nel 2014 viene nominata tra le 100 persone più influenti in Giappone; nel 2015 è stata nominata membro della commissione preposta a scegliere il logo per i giochi olimpici di Tokyo 2020 e nel 2017 ambasciatrice per la Tokyo University of the Arts in occasione del 130° anniversario.
L’ultima mostra collettiva è Japan Supernatural, alla Art Gallery of NSW in Australia, in cui è stato esposto anche il filmato Regeneration of a breached thought, di cui è protagonista, ispirato ad alcuni sui quadri.
La sua prima mostra monografica è del 2004 alla Ginza Surugadai Art Gallery di Tokyo; molte altre ne sono seguite tra cui l’importante “Fuyuko Matsui: Becoming Friends with All the Children in the World” al Yokohama Museum of Art di Kanagawa, la prima in un museo pubblico, in cui espone oltre 100 opere.
L’ultima opera a cui sta lavorando si chiama The Cycle of Life and Death: iniziata nel 2018 per il cimitero Shinjyuku Rurikoin di Tokio, sarà pronta per il 2021.
Fuori dal Giappone le sue opere sono state esposte a Parigi, in Svezia, a San Francisco e in Australia; sfortunatamente in Italia non ancora.
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FONTI/SOURCES:
ITALIANO:
L’unica fonte italiana è il testo di Marta Fanasca, “Spettri di donne e paure di uomini. L’arte di Matsui Fuyuko”, in Collana di studi giapponesi, 2014, leggibile qui: www.academia.edu
ENGLISH:
Official website: www.matsuifuyuko.com
culturekiosque.com
tate.org.uk
Financial Review
The exhibition “Becoming Friends with All the Children in the World” at Yokohama Museum of Art
Interview with Fuyuko Matsui on gadaboutmag.com
Azito-art.com
“Fuyuko Matsui finds vitality in decay” Japan Times
“Young, fresh and traditional Japanese artists” Japan Times ____________________________________________________________________________________________________________________________________
Fuyoko Matsui with panels from her work in progress, The Cycle of Life and Death, at the Rurikoin Byakurengedo Buddhist temple in Tokyo. Fuyuko’s set of brushes and other tools for nihonga technique
Fuyuko Matsui talks about her work and the supernatural
Asian Art Museum, 2012
Regeneration of a breached thought, 2012 © Rolex (Japan) Limited
The Cut Long-term Experiment
2004 / Hanging Scroll, Color Pigment on Silk Destruction Needed to Cure This Disease
2004 / Color Pigment on PaperInsane Woman under the Cherry Tree (2006)
Eternal Almighty Medicine for Perfect Happiness
2006 / Color on silk
Continuous Failures in the Collision of Fragments
2007 / Colour pigment on silk
Engraved Alter of Limbs
2007 | Color on silk
Scattered Deformities in the End
2007 / Color on silk, hanging scroll
Promenade of the Mourning
2010 | Color on silk, hanging scroll
Place of Bodies, 2011
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Fuyuko Matsui by photographer Satoshi Saikusa