Davide Becchio, in arte Vischio Blu, mi ha proposto di mostrare la sua collezione e le sue creazioni.
La sua casa segreta a Torino, dove raccoglie oggetti che colleziona, crea e dispone secondo il suo gusto, esce da quel circolo estetico in cui ritroviamo anche Enrico Colombotto Rosso, che fu un suo grande punto di riferimento, la non più esistente bottega del Nautilus (in cui mi ero recata molto tempo fa) e la pittura disturbante di Davide De Agostini.
Attratto dal macabro e da soggetti morbosi, Davide compone piccole vanitas utilizzando crani, il cui significato me lo ha voluto spiegare lui stesso nel testo che segue.
“La bellezza dell’inerzia”, di Davide Becchio
Luci, ombre e forme misteriose ed inquietanti si fondono in un’unica concezione artistica, quella della visione “scenica” di Davide Becchio, in arte Vischio Blu, che nasce a Torino nel 1980.
Fin da giovane, scruta con attenzione tutto ciò che possa suscitargli sensazioni da catturare e tramutare in arte applicata, portandolo a riflettere, sognare e creare un progetto mutato nel tempo. Agile cavaliere di pensiero, libero e sognatore, collabora con artisti diversi, nell’intento di poter esprimere la fantasia del proprio immaginario.
L’incontro col celebre pittore Enrico Colombotto Rosso [1] (1925-2013) segna una tappa fondamentale nella vita del giovane artista, che trova, nella sua magica casa d’autore, traboccante di oggetti d’arte e bizzarre collezioni (oggi divenuta museo), una grande fonte ispiratrice, cogliendo la voce creativa che, oltre le sue opere, il maestro voleva donare ai suoi ospiti. Il grande carisma e la personalità di Colombotto Rosso lo spingono, poi, a cogliere tutte quelle magiche gocce di saggezza che il maestro donava con gioia e faceva trasparire, con la semplicità ed immediatezza dei grandi artisti, alle persone che aveva a cuore. Il suo stile e la sua arte raccontavano di magiche avventure, in un lungo percorso di vita fatto di passioni e grandi amicizie, tra cui quella con la celebre Leonor Fini (1907-1996), importante pittrice, scenografa e costumista, donna elegante e misteriosa, di grande fascino ed ispirazione.
Anche Vischio Blu, come Colombotto Rosso, è da sempre appassionato di oggetti d’arte, cominciando, fin da piccolo, a collezionare disegni ed opere pittoriche, tra cui quelle del cugino Davide De Agostini (n. 1952), imperniate sui temi del macabro, come la malattia, la morte, la solitudine. Trova poi grande ispirazione nei mercatini d’antiquariato (tra cui il celebre “Gran Balòn” di Torino) e nei suoi frequenti viaggi all’estero, alla ricerca di oggetti di ogni natura da esporre nella sua collezione (che si è notevolmente ampliata nel corso degli anni), fino a giungere alla definizione di un suo vero e proprio stile come installatore.
Altro incontro determinante è, poi, quello con Alessandro Molinengo e la sua bottega “Nautilus” di Torino, singolarissimo negozio (oggi, purtroppo, chiuso) ove si respirava un’aria d’altri tempi ed ove la polvere sugli oggetti raccontava i loro ultimi anni, passati sulle fredde mensole della bottega, ed in cui si potevano trovare oggetti di ogni sorta: omuncoli in vaso, animali a doppia testa, chimere d’altri tempi, mappamondi di ogni epoca, studi anatomici, protesi, tassidermie, strumenti medici e d’amputazione. Le gelide giornate invernali bloccavano, poi, il tempo di quegli oggetti, da cui trasparivano storie a volte secolari. Tutto sembrava rimanere col fiato sospeso, in attesa che, una volta a settimana, Alessandro, custode di questo immobile regno del passato, ne dischiudesse le porte a chi voleva farvi visita.
È proprio qui che Vischio Blu comincia ad acquistare oggetti di svariata natura, come lo splendido manichino di un bimbo, un’antica anatomia in gesso dipinta a mano, un enorme uovo di struzzo, lo sviluppo di una rana in formalina ed altri pezzi bizzarri (tra cui uno, particolarmente importante, utilizzato nelle riprese del film “Imago mortis”, di Stefano Bessoni), sino ad acquisire i mobili principali del negozio, che ora arredano, in modo teatrale, la camera da letto all’interno della sua casa-atelier. E tale mobilio è per l’artista una sorta di feticcio, che racchiude in sé storie e racconti di un interessante passato, poiché utilizzato, come set cinematografico, nel film “Krokodyle”, sempre di Bessoni.
L’arte di Vischio Blu, tuttavia, trova la sua chiave principale nelle installazioni con crani umani, che nasce dall’intenzione di trasformarli in vere opere, studiando ed immaginando di comporli in preziose forme dai mille volti, alla ricerca della bellezza nelle cose inerti. E nulla è lasciato al caso: ogni particolare viene analizzato e minuziosamente studiato nei dettagli, per essere poi completato con gli elementi utili ed interessanti per la sua definizione, sovente scovati dall’artista durante i suoi frequenti viaggi.
Vischio Blu, poi, ama in particolar modo le campane e le teche in vetro. Sovente sono queste a custodire le sue opere, impreziosendole e proteggendole. Il frequente utilizzo di farfalle ed insetti nelle installazioni, inoltre, rende ancora più caratteristico lo stile dell’artista, conferendo alle sue creazioni un senso di armonia e movimento.
Il suo singolare atelier custodisce, poi, numerosi oggetti, sempre esposti in maniera del tutto teatrale. Ogni cosa ha una sua collocazione ben definita, come se l’intera collezione fosse un unico quadro non pittorico, all’interno del quale luci ed ombre definiscono, tra le altre cose, una vera e propria Wunderkammer, ove vengono esposte attrazioni particolari e in cui i colori delle ambientazioni accentuano il calore del coinvolgimento delle opere dell’artista. I crani, forme inerti e a volte spaventose, prendono vita nella loro staticità, richiamando, nei dettagli delle composizioni, nette evidenze di valorizzazione del defunto. Esporre tali opere è come far rivivere le persone in una nuova vita artistica, nel pieno rispetto per colui che ha lasciato questa traccia materiale ed inerte.
L’atelier di Vischio Blu diventa, dunque, nella sua totalità, una grande campana di vetro, che custodisce un piccolo mondo delle meraviglie, in un susseguirsi di oggetti dalle mille sfaccettature.
I numerosi quadri spiccano nelle stanze fiocamente illuminate, catturando lo sguardo del visitatore e creando, a volte, quasi disagio. I dipinti e l’arte in genere vivono. A volte non li comprendiamo del tutto e non li capiamo e, per questo, ci spaventano.
Per Vischio Blu, tuttavia, non tutto ciò che è morte deve per forza spaventare; e non tutto ciò che è deforme deve suscitare sgomento.
I dipinti di De Agostini raccontato la morte in maniera diretta, come un bambino racconta, nella sua ingenua infanzia, i momenti felici passati con i suoi giochi o con amici immaginari. Ogni epoca della nostra vita ha una propria anima di pensiero. E non ci si deve spaventare se talvolta, nell’arte, si sceglie la via più decisa: la morte.
Proprio il desiderio di far valere i suoi sogni artistici ha guidato Vischio Blu a trovare un suo stile di installatore ben definito, in cui tutto ciò che entra nel suo atelier diviene necessariamente parte di un’unica grande installazione. Qui vi si trovano, fra le mille altre cose, tassidermie, cavallini a dondolo, bambole dallo sguardo antico, oggetti di diversa fattura, come lampade dai vetri colorati, sontuosi cuscini dai colori caldi sotto un ricco baldacchino, che addolciscono lo spirito di colui che riposa a fianco di forme che, all’apparenza, possono sembrare oscure, come la morte, espressa dall’artista nelle sue opere, in cui, a volte, pare tuttavia trasparire la rinascita di una nuova vita.
La cura minuziosa, a volte quasi ossessiva e maniacale, ha portato l’artista a definire nel dettaglio non solo le proprie creazioni, ma anche ogni angolo del suo atelier, che, dunque, diventa a pieno titolo “opera” esso stesso, racchiusa in un’ipotetica teca di vetro delimitata, in questo caso, dai muri della casa.
Ed è lo stesso artista a dire di sé: “Assaporo la morte come forma artistica, senza giudicarla come pura tristezza. Non mi sento una persona crudele, né, tantomeno, poco rispettosa. Quello che sento dentro di me è solo la voglia di donare vita a ciò che non ha più una propria autonomia d’essere”.
[1] «Il più visionario, il più turbinoso, disperatamente solitario, luciferino, è Enrico Colombotto Rosso, puro spiritualista estraneo a ogni contaminazione con la realtà, in nome di un aristocratico distacco di una pittura dell’anima nella quale, come spiegava Bataille, c’è spazio anche per il male, per gli abissi dove l’uomo rischia di perdersi senza possibilità di riscatto.» Vittorio Sgarbi, Surrealismo Padano, Da De Chirico a Foppiani, 1915-1986, Palazzo Gotico, Piacenza, marzo-giugno 2002.
Davide Becchio facebook
www.vischioblu.net
www.fondazioneenricocolombottorosso.it
“Volto”, olio su tela, Enrico Colombotto Rosso
Olio su tela, Davide De Agostini
“La Gattara”, olio su tela, Davide De Agostini.
Opera con cranio, Vischio Blu
Olio su tavoletta in legno, Davide De Agostini.
Opera con cranio, Vischio Blu
Olio su tela, Davide De Agostini
Opera con cranio, Vischio Blu
Olio su tavoletta in legno, Davide De Agostini.
Opere con cranio, Vischio Blu
Olio su tavoletta in legno, Davide De Agostini.
Olio su tela, Davide De Agostini
China su carta, Enrico Colombotto Rosso