Se è vero che ogni luogo bello ha un’anima allora quella del Castello del Calcione è rimasta intatta per più di 500 anni: lo abita la stessa famiglia dal 1480 e oggi lo gestisce come dimora storica, tenuta agricola e resort, incentrato soprattutto sul turismo equestre.
il mio outfit, un omaggio al castello
La storia e l’origine del castello: dal medioevo a Leonardo da Vinci
Il castello, situato com’è a metà tra Siena e Arezzo, proprio sulla linea di confine verso la Valdichiana, sin dall’inizio del medioevo offriva una posizione strategica per scopi militari e difensivi. Il suo nome appare per la prima volta in un documento del 984 come “in castrum Calcionis”. Fino al 1100, infatti, fungeva da monastero-fortezza per i monaci dell’Ordine di Sant’Eugenio da Siena, un ordine estintosi nel Settecento.
Poi, nel XIII secolo, il castello e il dominio del Calcione passarono alla famiglia Tolomei di Siena e, dopo una serie di passaggi, nel 1483 furono acquistati da Luigi di Angiolo della Stufa, antenato della famiglia che vi abita ancora oggi. Pare che anche Leonardo da Vinci soggiornò qui, nel 1500, poiché in quanto architetto e ingegnere per conto di Cesare Borgia, stava studiando un progetto per la sistemazione idraulica della Valdichiana (è disegnato nella carta RL 12278 Windsor). Dal Rinascimento in poi il castello cambiò lentamente funzione e divenne residenza nobiliare a tutti gli effetti nel 1632, quando la casata fu elevata a marchesato dal granduca Ferdinando II, consegnandola a Pandolfo della Stufa e ai suoi diretti discendenti, confermando il titolo di conte anche a tutti i suoi fratelli.
Nei secoli successivi il castello si trasformò così da fortezza miliare a residenza di campagna, sul modello della mezzadria contadina, un assetto tipico della Toscana e dell’Italia centrale almeno fino ai primi del Novecento. Questo sistema prevedeva la concessione di poderi, da parte di un proprietario, a una piccola comunità a conduzione familiare, organizzata in modo autarchico e dotata di una casa colonica e di varie infrastrutture agricole (stalle, granai, fienili, pozzi, ecc.). Al Calcione questo sistema fu organizzato in modo illuminato, con vari interventi per il miglioramento delle condizioni sociali dei coloni, come l’istituzione di una scuola elementare, e grazie anche al notevole sviluppo della meccanizzazione, che raggiunse il suo apice dopo gli anni ’30, l’azienda ricevette un premio alla Fiera Internazionale di Tripoli e, nel 1938, arrivò prima a un concorso nazionale “per gli eccellenti risultati tecnici ed economici ottenuti nonostante le difficoltà dell’ambiente agricolo”.
Così il Calcione divenne un vero e proprio piccolo borgo, con più di 300 persone, che vivevano e lavoravano nei suoi terreni. Quando nel 1964 la mezzadria fu abolita, l’esodo dalla campagna verso le città e poi la globalizzazione depauperarono il territorio e le case coloniche che circondavano il castello furono abbandonate. L’idea di trasformarle in case vacanze e fare un agriturismo fu di Marisa Incontri Lotteringhi della Stufa, a metà degli anni ’70. L’attività fu poi rilevata dalla nipote Olivella, che introdusse l’azienda nel mondo contemporaneo creando il primo sito web nel 1994 e, dalla metà del 1990, il Calcione è un’azienda agricola biologica.
Con lo scoppio della pandemia di Covid-19, Selvaggia, la più grande degli ultimi nipoti della famiglia Pianetti Lotteringhi della Stufa, torna a vivere al Calcione, stabilendosi in una delle case coloniche non più utilizzate da anni: La Fornace, dove un tempo venivano cotti i mattoni che servivano per costruire le altre case della zona. La seguono alcuni amici e poi anche sua sorella Valentina, dando vita così a una piccola comunità: chi studiava, chi lavorava a distanza, chi semplicemente si godeva la vita in campagna, tutte iniziano a pensare al futuro del luogo che li ospitava. Da questo vivace scambio di idee prende piede l’idea di valorizzare il castello, farlo rinascere, aprirlo al mondo. Inizia così la nuova vita del Calcione, attraverso un’operazione di re-branding, una campagna social e il sito, il restyling dei casali, gli eventi e le experience a cavallo, vero e proprio fiore all’occhiello di questo posto.
Alan e Valentina
La famiglia, una storia Toscana
È sorprendente notare come la cura e la gestione del castello siano oggi in mano ad un gruppo di donne: dalla marchesa Nicoletta a sua figlia Spinella e poi le sue giovani figlie Selvaggia e Valentina. La storia della famiglia è contornata di personaggi e figure eccentriche, legate in modo profondo e inusuale agli animali, non solo cavalli.
Il padre di Nicoletta, Augusto Traxler, era uno scrittore (L’Ombra Sull’Argine, 1942; I Diavoli Sotto la Luna 1939; Preludio a un amore, 1938) e al castello si conserva ancora la sua biblioteca e le carte.
L’altra sua figlia, Ginevra, aveva una residenza leggendaria insieme al marito Gian Carlo Bossi Pucci: l’Olmaia, nella Maremma Toscana. La villa fu costruita alla fine degli anni ‘50 in mezzo al bosco, vicino al mare: una grande struttura bassa, che ricorda le bush houses della Rift Valley, essendo aperta verso l’esterno, con una loggia e un grande prato, per vedere gli animali abbeverarsi, in tipico stile africano. Per la costruzione furono usate pietre della cava di famiglia e il parquet di teak proviene dalla nave da guerra Duilio della marina italiana.
Giancarlo Bossi Pucci, ritratto anche da Pietro Annigoni, era un grande appassionato dell’Africa, aveva solcato le piane dal Kenya alla Somalia fino al Botswana; Ginevra invece, grande amante degli animali, era sempre attorniata da levrieri irlandesi e nella villa accoglieva bestie di ogni specie. Cervi, cinghiali, il muflone di nome Matilde, un puma dallo zoo di Roma, il leone del circo Togni che balzò sulla macchina di un visitatore alcolizzato che, credendo di avere le visioni, smise di bere. Poi la lupa siberiana dall’allevamento di Amedeo D’Aosta, detto Deo, e di conseguenza battezzata Dea; il cucciolo di gattopardo, trovato abbandonato nella savana africana: “dormiva sul mio letto, giocava con le bambole, gli leggevo le favole. Lo nutrivo con un biberon fatto in casa, ricavato da un bottiglia di Campari Soda”, ricorda la figlia Allegra in questa intervista (Alessandra Signorelli in Casa Vogue 2017, in cui si possono vedere alcune foto degli interni della villa).
La marchesa Nicoletta mi mostra delle foto in bianco e nero che ritraggono sua sorella Ginevra all’Olmaia, in compagnia dei vari animali. Sono foto bellissime, sembrano copertine di un romanzo esotico o un servizio di Richard Avedon; la più bella ritrae Ginevra su un letto, con un cerbiatto che le sfiora la mano, quasi si parlassero; sullo sfondo due zanne di elefante.
Ph credit: vogue.it
Il marito di Nicoletta, Bernardo Pianetti Lotteringhi della Stufa, era un giornalista, scrittore e poeta per diletto, nonché grande appassionato di cavalli. La sua famiglia ha origini marchigiane (portano il suo cognome Palazzo Pianetti di Jesi, così come la Biblioteca Planettiana) e lui, dopo aver vissuto in Corno d’Africa in gioventù, andò a lavorare a Bruxelles come funzionario [1].
Delle due figlie, Olivella e Spinella, è quest’ultima che eredita la passione per il mondo equestre: Spinella frequentava la scuderia di Canapino, negli anni ’80, e tra Siena e dintorni era conosciuta come ’la marchesina volante’ perché fece tre volte la Tratta, tra l’88 e il ’90. Avrebbe voluto montare in Piazza del Campo per il Palio, impresa difficilissima per una donna. Ad entrambe le figlie, Selvaggia e Valentina, insegna a montare sin da piccolissime, mettendole sul cavallo all’età di uno o due anni, a pelo naturalmente.
Selvaggia, nome omen, vive per i cavalli. Indomita e determinata, quando le chiedo qual è il posto più bello in cui ha montato risponde il Montana: “quando guardi quelle montagne, quei panorami sconfinati, senti la libertà totale”. Fu Spinella a portarla per la prima volta quando era ancora piccola e capitò anche che si persero tra le montagne. Il suo sogno, che riprende dalla madre, è quello di partecipare al Palio: “Voglio diventare fantina del Palio. Dirò di più: voglio vincere in Piazza. Ci vuole una donna, da troppo tempo non c’è” [2]. Questo sogno scandisce le sue giornate: per allenarsi monta 4/5 cavalli diversi ogni mattina [3], nel resto del tempo si occupa delle varie attività del castello. È lei che gestisce a pieno ritmo l’azienda, oltre che ideare tutte le iniziative della scuderia.
Anche sua sorella Valentina collabora attivamente al castello, in particolare alle attività culinarie: è da ricordare che la loro bisnonna scrisse un libro di ricette, partendo dalle opere d’arte, per replicare la cucina dagli Etruschi a oggi. Valentina ha anche una spiccata sensibilità artistica, probabilmente ereditata dal padre, il gallerista Bob Haboldt (ma anche Spinella era una decoratrice). E’ lei che ha disegnato il profilo di un cavallo all’ingresso del cortile.
Insieme al compagno Alan, hanno appena fondato un brand che porta il suo nome, Valentina Pianetti Atelier, a metà tra la creazione di moda e l’opera artistica. Partendo da giacche di pelle vintage, tutte diverse e scelte una per una, Valentina le dipinge con schizzi di colore, così da creare pezzi unici. Il suo lavoro nasce come sfogo in un periodo non molto felice della sua vita, quando iniziò a dipingere i muri di alcune stanze, poi le scarpe e poi arriva a schizzare con la tempera alcune giacche che la madre non usava più.
Le pareti del suo studio sono ricoperte da oggetti, ritagli, foto, scritte, ricordi, una specie di moodboard della sua vita in continuo cambiamento, che rispecchia la sua sensibilità delicata e inquieta. Il brand è appena agli inizi ma nell’atelier, che occupa una sala del castello, si trovano molti pezzi e altri esperimenti, come accessori, scarpe, borse e qualsiasi cosa di pelle possa essere decorata, un lavoro ancora in fieri che ha avuto il primo coronamento nella sfilata organizzata proprio al castello nemmeno un anno fa (ottobre 2024, ne ha parlato Vogue qui).
1. corriereadriatico.it
2. lanazione.it
3. lanazione.it
Selvaggia a Piazza del Campo, photo credit La Nazione
Valentina nel suo studio-atelier, courtesy Valentina Pianetti
Oggi: la rinascita del castello come un nuovo borgo
Il Castello del Calcione oggi è una tenuta privata di 2.400 ettari situata nel comune di Lucignano, in provincia di Arezzo, tra Toscana e Umbria, lungo il corso d’acqua della Foenna. Il castello vero e proprio, che ha una corte interna attraverso la quale si passa per raggiungere il giardino all’italiana, fa parte delle Dimore Storiche italiane. Oltre alle stanze dedicate all’ospitalità, le varie sale del castello contengono cimeli e ricordi di famiglia: nel salone d’entrata domina lo stemma in ceramica invetriata di Della Robbia del 1470, il più grande mai realizzato di questo genere, poi carte geografiche antiche che ricostruiscono i domini del castello. Poi ancora: trofei di caccia e armi antiche, un archivio storico, dipinti, oggetti, servizi con lo stemma di famiglia, la grande cucina, dalla cui finestra si ammira il giardino, con la stufa a legna. All’interno c’è anche una chiesa, risalente al XVIII secolo, anche se la struttura originale probabilmente fu costruita cent’anni prima. L’interno della chiesa ha affreschi di Luigi Ademollo (1764-1849), un pittore rappresentativo del movimento italiano del Neoclassicismo.
La tenuta, che comprende 14 case coloniche e anche una produzione di olio d’oliva, include tre grandi laghi, una piscina e un campo da tennis, oltre che la scuderia. Il castello infatti ha sempre ospitato molti cavalli e offre la possibilità di cavalcare attraverso i bellissimi paesaggi toscani, dalle escursioni più brevi, nei dintorni della tenuta, a “Il Palio dei Castelli”, una cavalcata di tre giorni attraverso le Crete Senesi, passando per le famose piste di allenamento dei fantini del Palio di Siena.
I cavalli sono l’anima di questo posto, qui vivono liberi. Spinella ci accompagna nell’uliveto dove pascola Tokai, un bel cavallo anglo arabo che in passato ha vinto tante gare e ora si riposa un po’, uscendo per le passeggiate. Ci segue mentre andiamo a raccogliere i fiori, degli anemoni lilla che stanno iniziando a nascere in questo periodo dell’anno. Nei box ci sono i cavalli da corsa, che scattano curiosi ad ogni minimo rumore. In totale qui trovano casa circa 30 cavalli e qualche mulo, alcuni sono stati salvati dal macello o da situazioni di degrado. Quando sono andata si stava sperimentando l’incontro, andato benissimo, tra falconi e cavalli, sotto l’occhio vigile di Luigi Bruschelli detto “Trecciolino”, mitico fantino che ha vinto ben 13 Pali e ora amico di famiglia.
Oltre ai progetti personali, Selvaggia e Valentina si interessano di portare avanti anche i nuovi lavori del castello: sono tutt’ora in costruzione il campo per il salto agli ostacoli e il tondino, così come la cucina industriale, con lo scopo di poter ospitare eventi più grandi e magari creare un punto di ristoro aperto anche agli ospiti esterni. L’idea è quella di reintegrare il castello nel territorio, poterlo aprire e farlo vivere come il borgo che era, ovviamente coniugato alle esigenze della modernità; c’è anche l’idea di fare un un cinema all’aperto, poi un piccolo museo, con i cimeli di famiglia, che raccontino un po’ la storia del posto e la grande cantina è ancora tutta da riprogettare, con le enormi botti antiche che verranno trasformate in saune. “C’è ancora tantissimo lavoro da fare”, mi dice Alan, “abbiamo appena iniziato e le idee sono tante. L’inverno può essere molto freddo qui e ogni lavoro per il castello può durare anni, ma questo luogo ci ispira ogni giorno”.
Grazie a Francesca C. e a tutto lo staff del Castello del Calcione
ESTERNOla facciata e il giardino all’italiana


il cortile interno
il disegno di Valentina
INTERNI lo stemma di Della Robbia
l’archivio
cimeli equestri
la cucina
SCUDERIA io e Tokai tra gli ulivi
VALENTINA PIANETTI ATELIER
ESTERNI
giardino all’italiana
entrata
interni della chiesa
incontro tra falconi e cavalli